7.0
- Band: CORRECTIONS HOUSE
- Durata: 00:46:49
- Disponibile dal: 15/10/2013
- Etichetta:
- Neurot Recordings
- Distributore: Goodfellas
Spotify:
Apple Music:
Fermatevi un attimo a riflettere sulle personalità che compongono il progetto e capirete che il sound dei Corrections House è meno imprevedibile di quello che si potrebbe pensare. Alla fine questo progetto è come una rimpatriata tra amici, come una cena alla quale tutti hanno portato una loro pietanza tipica che sono espertissimi nel preparare. Sanford Parker ha portato il suo amore per l’industrial più caustico e cibernetico (Skinny Puppy in testa, ma anche Ministry, Killing Joke, Godflesh), Scott Kelly ha contribuito ovviamente con il suo bagaglio neurosisiano ma anche con altre sue famosissime inclinazioni, in primis l’amore per sonorità roots, folk e di stampo “Americana”, nonché di elementi noise e industrial presi in prestito direttamente da Swans e Einsturzende Neubauten. Bruce Lamont si è portato ovviamente il sax (sempre filtrato da una miriade di effetti stranianti e allucina(n)ti), mentre Mike Williams ha portato alla cena il suo talento di poeta delle fogne e di artista spoken word affermatissimo per apportare quelle argomentazioni, ambientazioni e tematiche necessarie all’opera e per materializzare in ultima istanza un disegno sonico post-urbano torturato e agghiacciante ma non privo, come vedremo, di una sua luce e di un barlume di speranza. Quello che ne è scaturito è un lavoro abbattuto e corrosivo ma a tratti delicato, incazzato ma riflessivo, rude ma articolato… scuro, ma multicromatico e pieno di colori diversi. Si va con disinvoltura da momenti di pura e sanguigna visceralità folk-roots nordamericana (“Run Through The Night” e la title track), a momenti di industrial metal cibernetico e squassante (“Bullets and Graves” ricorda i Godflesh di “Slavestate”, “Dirt Poor and Mentaly Ill” gli Skinny Puppy di “Rodent”, mentre “Party Leg and Three Fingers” va a rivangare addirittura i primi Red Harvest), senza tralasciare l’immancabile vena noise e ambient tanto cara soprattutto a Kelly e Parker (primi Swans per quanto riguarda “Hollows of the Stream”, e Greymachine in “Drapes Hung by Jesus”). Ovviamente non mancano i riferimenti diretti ai vari progetti principali del quartetto, soprattutto il sentore perenne che ci troviamo immancabilmente di nuovo negli abissi apocalyptic folk di “A Sun That Never Sets” o negli intrippamenti psichedelici dei Minsk e degli Yakuza nei loro momenti più astratti. Se il comparto strumentale dunque soffre un tantino di derivatività e citazionismo, non si può certo dire lo stesso della stupenda delivery vocale di Williams, la quale è sempre intenta a veicolare un pathos post-moderno struggente, perennemente sospesa a metà strada tra Townes Van Zandt, Al Jourgensen, Michael Gira, Allen Ginsberg e Johnny Cash, grazie a una qualità delle liriche (superlative) incluse ovviamente, a tratti davvero da lacrime. Il progetto è indubbiamente un successo, non c’è che dire, anche se a tratti il DNA di progetto parallelo sviluppato a tempo perso si mostra con veemenza innegabile vista l’essenzialità e l’autocitazionismo che trapela un più occasioni. C’è comunque talento non solo famoso qui dentro, ma puro, e quello nessuno lo negherà mai.