7.5
- Band: CORROSION OF CONFORMITY
- Durata: 00:42:18
- Disponibile dal: 23/06/2014
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Che dire dei Corrosion of Conformity, se non che ormai sono delle leggende viventi? Insieme ai Melvins questa band ha inventato di sana pianta lo sludge ed è stata tra i più orgogliosi alfieri del metal suddista a stelle e strisce, popolarizzando il genere in tutto il mondo praticamente da soli. Allo stesso tempo sono stati anche tra i primi a mischiare metal e punk in maniera non sintetica ma inclusiva, contribuendo in maniera prepotente allo sviluppo del così detto crossover. Thrash, punk, e southern rock in questa band hanno sempre trovato una casa abbastanza grande per una fiorente e lieta convivenza, spianando la strada per dei dischi ormai orginalissimi (e anche incompresi) per tempi i in cui uscirono, e oggi ormai seminali. A trent’anni dalla prima comparsa dei COC sulle scene si ha sempre di più l’impressione che questa band sia sempre più una sorta di patrimonio del metal più che una semplice compagine di rockers avanti con l’età. Dopo l’abbandono di Pepper Keenan per concentrarsi solamente sui Down, la band è tornata al formato trio con la formazione originale e ha subito tentato una opportuna riscoperta delle proprie origini, scrivendo pezzi dal forte impulso punk, veneratori più che mai dei Black Sabbath e foderati da quel glorioso strato di sporcizia e fuzz che ha forgiato il loro DNA iniziale tre decenni fa. Parliamo di brani brevi e irruenti, isterici quasi, in cui la sezione ritmica propulsiva e quadrata di Reid Mullen e Mike Dean crea una piattaforma di lancio tremenda per i riff sconnessi e sincopati di un Woody Weatherman in forma smagliante, e chitarrista che anche in questa sede troviamo sempre più in palla e imbizzarito. Alcune traccie come la tellurica “Denmark Vesey” sono vere e propre schegge impazzite di punk primordiale che ci riconducono alle origini della band, quando erano una sorta di naturale evoluzione di gruppi come Black Flag, Flipper, Poison Idea e Bl’ast. In altri momenti l’indole soul e blues dei Nostri fluisce corposa e disinibita, argomentando soluzioni ben più heavy e dilatate che in un certo senso si mostrano un tantino quale sia la genealogia di band come High On Fire, Baroness, Black Cobra, Red Fang eccetera, e dove si trovi l’origine dello sludge metal. Insomma siamo come sempre in presenza di veri maestri che grazie ad una assolutamente insostiuibile umiltà e voglia di riscoprire le proprie origini sono tornati ancora una volta in palla totale – da due album a questa parte ormai oltretutto – e sembrano non trovare alcun freno al consolidamento di una reputazione sempre più ben preservata e inattaccabile. Tante grandi formazioni hanno fatto la fine opposta ma i COC in questo senso sono delle persone da cui tutti, famosi e non, hanno parecchio da imparare.