8.0
- Band: CORRUPT MORAL ALTAR
- Durata: 00:43:16
- Disponibile dal: 18/07/2014
- Etichetta: Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Il grindcore è da tempo un genere che si apre facilmente alle contaminazioni più disparate e i Corrupt Moral Altar hanno già dimostrato nella loro breve carriera di essere degli artisti autentici, in grado di rinnovarsi ogni volta, senza stravolgere la propria impalcatura ideologico-musicale. Un gran pregio, davvero, indice, altresì, di apertura mentale e coerenza espressiva. Con questo “Mechanical Tides”, primo loro full-length, i ragazzi mescolano le carte come mai prima d’ora, ribaltando la regola che li voleva un gruppo grind dalle influenze sludge. Semmai, ora è infatti il caso di parlare di una band sludge a cui non dispiace sconfinare in ambienti grind, industrial e hardcore. Davanti alle tredici tracce del disco, si può dire che il quartetto abbia prodotto un lavoro assolutamente a sé, certo non alieno a quelle che sono sempre state, per grandi linee, le caratteristiche sonore di certo underground britannico dei tardi anni Novanta e primi Duemila (Iron Monkey, Raging Speedhorn, Mistress), tuttavia proiettato in un limbo dove i confini fra generi sono labili e dove spesso viene facile parlare semplicemente di musica estrema, riconoscendo appunto alla band di aver creato un’opera che ha qualcosa da dire anche in termini di personalità. “Father Tongue” apre l’album con una scarica grindcore velata di black metal che può riportare alla mente i Napalm Death di “Order Of The Leech”, ma non si fa in tempo ad ambientarsi e arriva il mammoth di “Blood Harmony”, colata pesantissima, di quando in quando attraversata da repentini brividi elettronici e da cori puliti. Nel giro di due brani, i Corrupt Moral Altar hanno già fatto capire di che pasta sono fatti: bellicosi, versatili e sempre coerenti, visto che i cambi di registro vengono agevolati dall’ottima estensione vocale di Chris Reese e da una duttile componente death’n’roll, quest’ultima essenziale nel legare e fluidificare le transizioni up-midtempo. Servirebbe un attento track by track per sviscerare tutti gli elementi presenti in “Mechanical Tides”, ma ciò comporterebbe l’annullamento del fattore sorpresa, oltre a forzare un’analisi fredda e iper dettagliata che il disco peraltro non chiama, dato che si presenta appunto come un viaggio assolutamente spontaneo attraverso vari generi estremi. “Mechanical Tides” non è un album che soffre di staticità e coazione a ripetere, ma non è nemmeno un calderone in cui il gruppo britannico ha gettato idee a caso: nel disco, piuttosto, regnano quella armonia e quello spirito d’avventura che abbiamo ravvisato nei migliori Napalm Death degli ultimi anni, abbinati però ad una base più vicina allo sludge che al classico grindcore. Da provare a volume altissimo.