7.5
- Band: COUGH
- Durata: 01:07:50
- Disponibile dal: 03/06/2016
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Un tempo c’erano i Black Sabbath, che secondo certa critica coeva avrebbero dovuto chiamarsi Led Purple o Deep Zeppelin, per quanto (sacrilegio!) risultavano derivativi. Poi, abbiamo avuto almeno tre generazioni di cloni o supposti tali dei Sabbath stessi, per esempio gli Electric Wizard, che in venti anni di carriera hanno poi sicuramente dimostrato una propria marcata personalità. Corsi e ricorsi della Storia del Metal, ed è dura non vedere la continuità di questa filiera nei Cough, ma in fondo who cares? Fin dal titolo questo “Still They Pray” se non cita apertamente, sicuramente sembra scimmiottare il ben noto “Let Us Prey” della band di Jos Oborn, peraltro qui presente in veste di produttore; e anche le sonorità sono essenzialmente quelle, come nei due precedenti full length: batteria lenta e ossessiva ben assortita con un basso cupo e potente, fuzz sparso come coriandoli a Carnevale, la voce sguaiata di un folle sacerdote di Satana. Eppure ci sono mirabili segni di crescita e tutto funziona a meraviglia, anche grazie ad alcune piccole fronde di chiara sponda americana (ricordiamo che i Nostri sono di Richmond, Virginia) che rendono il tutto parecchio interessante, per non dire francamente trascinante. Le tracce iniziali ci accompagnano nel più canonico gorgo doom-sludge, ma è proseguendo nell’ascolto che l’album conquista appieno; “Masters Of Torture” è una sublime sintesi del marciume di sponda atlantica e delle psichedeliche movenze britanniche, retta da un riff acidissimo e spettrale e un crescendo da applausi, mentre la successiva “Let It Bleed” aspira all’improbabile titolo di slow-tempo dell’anno: onirica, trasognata, con Parker Chandler sugli scudi per la splendida interpretazione vocale. Fa peraltro il paio con la conclusiva title track, uno sporco brano unplugged in odore di Delta Blues che ricorda molto i lavori di Wino & Conny Ochs. E in mezzo a questi due brani merita menzione anche l’intensa “Shadow Of The Torturer”, lungo viaggio dalle parti degli Sleep – cui l’occhio strizza spesso, a dirla tutta, fin dalle note inziali dell’album. Tutto forse già sentito, certo, ma sintetizzato alla grande e per questo promosso a pieni voti; se siete neofiti del genere, prendete questo album a scatola chiusa e imparerete quasi tutto quello che serve, a riguardo. Per gli aficionados, un gran bel lavoro che merita di entrare nella vostra playlist.