7.5
- Band: COWARDS
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 09/02/2015
- Etichetta:
- Throatruiner Records
Spotify:
Apple Music:
La scena transalpina riesce quasi sempre a trovare qualcosa da dire, anche quando le basi di partenza sembrano note e stra-note. I parigini Cowards, ad esempio, sulle prime danno l’impressione di essere l’ennesima realtà hardcore che aspira a suonare black metal… una di quelle tante formazioni un po’ troppo pretenziose di cui l’underground oggi è pieno e di cui si sente sempre meno il bisogno. Invece, un singolo sommario ascolto del loro nuovo album svela una formula ben più avvincente ed inquietante. Nella valigia per il loro viaggio verso l’Inferno i cinque hanno infatti portato con sé una quantità di influenze non indifferente: si passa dal metal-core primordiale degli Integrity, a quello ancor più tagliente e velenoso dei concittadini Kickback e dei vicini Arkangel, passando per una costante impronta sludge e, appunto, qualche velleità black metal alla Celeste o The Secret. Incertezza? Revivalismo? Nostalgia? No, in realtà una buona personalità. I Cowards rielaborano il metal-core europeo di una quindicina di anni fa, rendendolo attuale ma senza mai perdere di vista i propri punti di riferimento. Un giro spigoloso e sbilenco di chitarra, un downtempo grasso e pesante… così familiare, eppure così inedito all’udito; si apre e si chiude così “Shame Along Shame”, opener di questo nuovo album del quintetto. E questa sensazione di familiarità si ripercuote in tutta la durata dell’album, come un buon piatto che si lascia assaporare, di cui riconosci tutti gli ingredienti ma che nel complesso danno un gusto abbastanza nuovo, fresco. È quello che succede anche in “Never To Shine”, i cui riff – ora più black, ora più hardcore-metal, ora più alla Eyehategod – hanno tutto il tempo di articolarsi, svilupparsi e terminare, incattiviti e trainati da uno screaming acidissimo e tormentato, memore di quello del famigerato Baldur degli Arkangel. Brani piuttosto corposi, che si prendono il loro tempo senza mai sprecarlo, evitando soluzioni troppo criptiche e ripetizioni sensa senso in favore di un impatto e di una agilità che sembrano in effetti derivare da un “Dead Man Walking” o da un “No Surrender”. I Nostri prendono le distanze da una band come gli ultimi Celeste: l’atmosfera è ugualmente negativa, ma alla base del suono vi sono veri e propri riff e strutture di facile assimilazione, che portano i pezzi a farsi ricordare. Insomma, da un lato bignamino di certo vecchio hardcore europeo e dell’evoluzione in chiave extreme metal che è seguita negli anni successivi, dall’altro lezione di sostanza e stile: questo è “Rise To Infamy”, un disco che guarda al passato, ma che resta anche ben aggrappato al presente.