8.5
- Band: CRADLE OF FILTH
- Durata: 00:58:47
- Disponibile dal: 27/04/1998
- Etichetta:
- Music For Nations
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Dopo la pubblicazione dell’acclamato “Dusk… And Her Embrace” del 1996, i Cradle Of Filth si trovano investiti da una notorietà impensabile rispetto al genere di musica proposta. Il loro nome inizia a circolare anche sulla bocca di coloro che non avevano mai frequentato ambienti black metal, la loro immagine vampirica diventa ispirazione per legioni di nuovi fan, schiere di detrattori iniziano ad insorgere decretando la fine dello spirito underground, ed intanto la band si trova sulle copertine dei principali magazine e a suonare dal vivo su MTV. Diventa importante, quindi, per Dani e compagni riuscire a capitalizzare questo successo con un nuovo album all’altezza delle aspettative. Il sestetto, quindi, decide di puntare in alto, mettendo in musica un concept album, dedicato ad Erzsébet Báthory, nobildonna ungherese vissuta nella seconda metà del XVI secolo e passata alla storia per la sua vita sanguinaria, fatta di torture, sadismo e magia nera. La contessa, infatti, era convinta che bagnarsi e bere il sangue di giovani fanciulle potesse mantenere immutata la sua giovinezza, garantendole la vita eterna. Pur essendo un personaggio storico, la vicenda della Contessa Báthory finì ovviamente per mescolarsi al folklore e alla narrativa, intrecciandosi con la mitologia vampirica, con la quale condivideva diversi punti in comune.
Per il nuovo album, la formazione dei Cradle Of Filth viene confermata, con una sola eccezione: il tastierista Damien Gregori, che pure aveva contribuito a molto del successo di “Dusk… And Her Embrace”, viene sostituito da Les Smith, tastierista che già aveva collaborato con gli Anathema, durante le registrazioni di “Eternity”, e che si unirà poi nuovamente ai fratelli Cavanagh una volta terminata l’esperienza con i Cradle Of Filth. La band, quindi, entra in studio e dà alla luce l’atteso successore di “Dusk… And Her Embrace”, riuscendo a non deludere le aspettative e a firmare un altro grandissimo lavoro, forse non altrettanto seminale quanto il suo predecessore, ma certamente fondamentale nella storia della formazione inglese.
“Cruelty And The Beast” continua ad esplorare il lato gotico della musica dei Cradle Of Filth, andando a costruire atmosfere che rappresenteranno un po’ il cardine su cui si costruirà gran parte del sound della band per gli anni successivi. Quel particolare equilibrio tra bellezza seducente e spietata e sadica violenza trova nella figura della Contessa Báthory la sua sublimazione. Da un punto di vista musicale, le chitarre di Stuart Anstis e, soprattutto, Gian Pyres approfondiscono ulteriormente quel gusto classico che non verrà più a mancare anche negli anni successivi; mentre le orchestrazioni di Les Smith svettano per maestosità e bellezza. La stessa dicotomia viene ben rappresentata dalle molte voci dell’album: da una parte Dani, qui ancora al massimo della forma, si divide tra le sue caratteristiche urla spettrali e il suo parlato tenebroso e gutturale, mentre a fare da contraltare troviamo la voce femminile di Sarah Jezebel Deva e delle parti narrate da Ingrid Pitt, l’attrice che agli inizi degli anni Settanta aveva interpretato proprio la Contessa in un lungometraggio della Hammer (“Countess Dracula”, 1971). Nel mentre la batteria di Nick Barker picchia senza sosta, pur penalizzato da una produzione francamente incomprensibile. Proprio questo aspetto, infatti, rappresenta fin da subito il pomo della discordia per “Cruelty And The Beast”, scontentando molte delle parti in causa, a partire dai musicisti stessi. Il suono della batteria è secco, privo di profondità e di sfumature e, sebbene le scelte in sala di produzione vadano ad incidere su tutti gli strumenti, è proprio sulle pelli che l’effetto è più disturbante (ricordiamo che, in occasione del ventennale, l’album è stato remixato e rimasterizzato, proprio per ovviare, seppure in ritardo, alle problematiche descritte).
Al netto di queste discutibili scelte, comunque, quello che viene consegnato al pubblico è un album sontuoso, che non ha momenti di calo e che contiene alcuni brani diventati ben presto dei classici della band, come “Cruelty Brought Thee Orchids”. Il trittico iniziale – escludendo l’introduzione “One Upon Atrocity” – è magistrale, con un picco assoluto nella splendida “Beneath The Howling Stars”, a parere di chi vi scrive una delle vette della produzione dei Cradle Of Filth. “The Twisted Nails Of Faith” e “Lustmord and Wargasm” sono due gioielli di violenza e seducente malizia, mentre “Bathory Aria”, una suite della durata di undici minuti, rappresenta il fulcro vivo e pulsante della vicenda della Contessa, narrata con la profondità di chi sa come tenersi ben lontano dal vampirismo da operetta fatto di canini appuntiti e mantelli neri, per andare ad affondare le mani nella vera letteratura e nella mitologia più oscura ed affascinante.
“Cruelty And The Beast”, dunque, rappresenta uno dei capitoli più interessanti della storia dei Cradle Of Filth, una gemma che, assieme ai tre capitoli discografici precedenti, rappresenta il meglio della produzione discografica della band. Da questo momento in poi, Dani Filth porterà avanti la sua creatura attraverso continui cambi di formazione, momenti di alta ispirazione e qualche inevitabile momento di stanchezza. L’ombra della Contessa, però, continuerà ad accompagnarlo, trovando ancora una volta l’immortalità, non attraverso il sangue, ma attraverso le note tormentate di una band inglese.