7.0
- Band: CRAVEN IDOL
- Durata: 00:45:05
- Disponibile dal: 14/04/2017
- Etichetta:
- Dark Descent
- Distributore: Audioglobe
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Brucia Londra. Dal sottosuolo le fiamme insorgono, si propagano, spargono il terrore. Nessuno le può estinguere, nessuno le sa placare. A provocarle, i Craven Idol, quattro sordidi figuri che si sono presi a cuore la causa del metal vecchia maniera in (quasi) tutte le sue possibili declinazioni. Li immaginiamo, teenager, quali onnivori divoratori di quanto di meglio offerto da death, black, thrash, heavy metal classico nelle forme più legate alla tradizione. Ben infarinati intellettivamente da quanto gli è passato per le orecchie, i musicisti d’oltremanica hanno deciso di mettersi in proprio e dare (dis)ordine alle loro visioni estetiche e concettuali. Il primo album “Towards Eschaton” aveva gettato le basi quattro anni fa, “The Shackles Of Mammon” le ribadisce e le rafforza. I Craven Idol assommano, pressano e filtrano in un calderone fumigante sordido black-thrash, epicità di grana grossa, musicalità classic metal, pesantezza death e mortifera isteria. Un composto senza tempo, per alcuni aspetti insensato, essenzialmente genuino, forgiato nel sangue e nel desiderio confessato candidamente di assaporare l’acre odore della mattanza. Digrignamenti scomposti e assoli stridenti aprono “Pyromancer”, che si srotola tronfia ed eccessiva, sospinta da cori da stadio e grandeur satanica. I caratteri fondamentali della band sono già tutti presenti, messi in fila con un criterio che inizialmente sembra essere quello del semplice caos. Attacchi rozzi tipici del war metal cozzano e si dissipano in cavalcate bathoryane, l’andirivieni fra i gironi infernali e il Valhalla avviene a colpi spastici, inconsulti, strappi nel tessuto sonoro che paiono guidati da un mero istinto animalesco. Un agire di pancia che, complice un perverso amore per la melodia, per le aperture enfatiche e la cupezza elegante, si traduce in brani piuttosto articolati, che scoppiano di salute e ci scatenano addosso eccentrici cambi di passo, sfuggenti ricami cari al primo metallo inglese e un gretto alone occultistico. Potrebbero quasi destare scalpore gli assoli incrociati di basso e chitarra scanditi in “A Ripping Strike”, le inflessioni alla Watain e i cori nordici di “The Trudge”, oppure accorgersi di quanto siano efficaci le progressioni arrembanti di “Tottering Cities Of Men”, a dispetto di una durata debordante. Come non rimanere poi gradevolmente stupiti dai rallentamenti più subdoli e putrescenti, che con fare quasi grandguignolesco si prestano a essere considerati quali evocazioni di entità demoniache compiute da sacerdoti un po’ grossolani, poco istruiti ma tanto pieni di entusiasmo. Fossimo nel gruppo, limeremmo proprio le parentesi care al discorso puramente black-thrash a gente come Deströyer 666 et similia, mentre quando suoni e ritmi vengono smerigliati e relativamente addolciti tutti i musicisti rilucono di una dotazione tecnico-espressiva nient’affatto limitata. Promossi? Promossi, e con apprezzabili margini di crescita.