6.5
- Band: CREED
- Durata: 00:54:23
- Disponibile dal: /11/2009
- Etichetta:
- Wind-Up Records
- Distributore: EMI
Era prevedibile che anche i Creed rispondessero alla chiamata della casa discografica, vessata dalla crisi ed in cerca di soldi facili. Scioltisi dopo la pubblicazione del controverso “Weathered” nel lontano 2001 a causa di non ben precisate divergenze personali e musicali, dopo aver venduto milioni di copie grazie ad una oculata e furba commistione di grunge e zuccherosa orecchiabilità, i Nostri sembravano intenzionati a continuare per strade diverse. Tralasciando la carriera solista del cantante, alquanto derivativa e contestabile, è necessario sottolineare quanto successo agli altri tre componenti della band: dopo una fase iniziale di comprensibile disorientamento, Mark Tremonti & company si sono rimboccati le maniche, hanno finalmente potuto liberare la propria creatività senza dover necessariamente seguire chissà quale clichè, fino a pubblicare “One Day Remains”con il nuovo monicker Alter Bridge insieme al divino Myles Kennedy. Uno dei dischi più belli della storia, per chi scrive, che ha contribuito a modificare alcune coordinate come mai nessuno era riuscito a fare prima. Poi l’ottimo “Blackbird”, prova tangibile di un’intesa perfetta tra i componenti della band. Poi la temporanea pausa, per consentire ai Creed di tornare sulle scene: questo preambolo è importante per comprendere cosa realmente può contenere un lavoro di questo tipo. Non consideriamo neanche le solite frasi pre-confezionate ad uso e consumo dei media, secondo cui “Full Circle” non sarebbe frutto di speculazioni commerciali, e limitiamoci ad ascoltare l’album non solo alla luce di quanto fatto dalla band negli anni gloriosi, ma anche (e soprattutto) considerando quanto fatto dai componenti negli ultimi anni. Parte “Overcome”, e tutto sembra filare liscio: riff tipicamente Alter Bridge (perchè è questo quello che piace DAVVERO a Tremonti), su cui si staglia la voce stentorea di Scott Stapp, per una prova che lascia davvero ben sperare per la godibilità dell’album. Passiamo alla successiva “Bread Of Shame”, che con le sue chitarre ribassate e la rocciosa prova vocale ricorda gli ultimi Slipknot, tanto da convincerci che forse le cose si mettono meglio di come si potesse sperare. Invece parte “A Thousend Faces”, classico pezzo da classifica, che tuttavia non sembra dire niente di nuovo rispetto a quanto già affermato alla fine degli anni ’90. Anche “Suddenly” appare priva di mordente, nonostante l’impegno profuso da band e cantante. Giungiamo a “Rain”, ovvero il secondo pezzo pubblicizzato in copertina: meglio dopo qualche ascolto, il pezzo si và a collocare nella media dei classici della band, sufficientemente ruffiano nelle melodie, molto americano nei suoni e ottimamente arrangiato. Che si tratti di semplice mestiere (parliamo di abilissimi compositori, in ogni caso) o di reale urgenza creativa, a questo punto poco importa, visto l’assunto di base su cui questa reunion si poggia. “Away in Silence”, “On My Sleeve” e “Time”, con i soliti arpeggi puliti e le solite atmosfere ‘piacione’ non riescono a colpire nel segno, al contrario della rocciosa e valida “Fear” e della oscura “Full Circle”, introdotta da un arpeggio di chitarra molto country, su cui Stapp si lascia andare ad una interpretazione estremamente credibile. Mancano due pezzi: niente di particolarmente interessante, se non la sensazione di ascoltare due ‘scarti’ dalla produzione Alter Bridge. Niente che non potesse essere aggiustato grazie all’interpretazione del ben più dotato Myles Kennedy. Insomma, l’impressione che ricaviamo da un album come “Full Circle”, è che si tratta di una semplice incombenza, utile a sistemare alcune cose nel conto in banca della band e dell’entourage, che contribuisce ad incrementare ulteriormente la voglia di Alter Bridge, coi quali Mark Tremonti ha saputo e sicuramente saprà dimostrare le sue enormi doti di compositore e chitarrista.