7.5
- Band: CREST OF DARKNESS
- Durata: 00:20:31
- Disponibile dal: 23/02/2015
- Etichetta:
- My Kingdom Music
- Distributore: Audioglobe
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Dopo il poco convincente “In The Presence Of Death”, ecco che ritorna Ingar Amilen con i suoi Crest Of Darkness. Questa volta i blackster di Gjøvik si affidano ad un EP di quattro tracce (tre più una cover) ed il risultato è decisamente migliore. La title-track, che fa anche da opener, è subito convincente con un ottimo tiro e le giuste atmosfere: il pezzo si sviluppa intorno ad un main riff di matrice smaccatamente norvegese. Si prosegue con “Armageddon”, canzone dal ritmo tiratissimo ed, ancora una volta, con un riffing particolarmente ispirato, ben unito alla voce di Ingar, come sempre potente e tagliente come un rasoio. Tra atroci urla di dolore in sottofondo, la musica prosegue imperterrita, incurante e malvagia ed i Crest Of Darkness sembrano aver finalmente ritrovato la cattiveria e l’oscurità delle loro migliori produzioni. Arriva “Abandoned By God”, che non fa che confermare quanto si è già evinto: la band sa creare una velenosa miscela di caos e distruzione finalmente non fini a loro stesse ma nuovamente in grado di comunicare la venefica energia degli esordi. Ascoltare questo EP è come ritrovare un vecchio amico che pensavamo di aver perso di vista per sempre; invece il vecchio Ingar ha ancora molto da dire e lo si intuisce anche dall’intensità lirica di questi tre pezzi e dall’energia nera profusa nel cantato o nel riffing della parte finale di “Abandoned By God”. Poi arriva il momento della tanto annunciata cover di “Sick Things” di Alice Cooper. I Crest Of Darkness hanno scelto uno dei pezzi più malati di “Billion Dollar Babies” (e, forse, dell’intera carriera dello shock rocker americano) e contemporaneamente uno dei pezzi più adatti ad una cover: il ritmo cadenzato ed ossessivo ed il cantato basso e quasi recitato danno ampi spazi di personalizzazione. L’esperimento, però, riesce solo a metà: i Crest Of Darkness non si allontanano troppo dall’originale, anche se il pezzo subisce un certo rallentamento ed una violenta sferzata black; non una brutta cover, tutt’altro, ma forse la band avrebbe potuto osare qualcosina in più. Comunque, restano i tre pezzi inediti della band, tre pezzi ottimi che consentono ai blackster norvegesi di riscattarsi dopo una serie di uscite piuttosto sbiadite. Non possiamo che sperare che “Evil Messiah” sia il preludio di un full length ugualmente ispirato e malevolo, così da poter finalmente salutare il ritorno di una band che ha sempre saputo fondere il black metal di stampo norvegese con il sound estremo ottantiano.