7.0
- Band: CRIPPLED BLACK PHOENIX
- Durata: 01:37:26
- Disponibile dal: 09/09/2022
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Dopo un’opera ambiziosa, ricca di ospiti e collaborazioni, come “Ellengæst”, i Crippled Black Phoenix si rimboccano le maniche e si ritrovano a dover ricostruire il proprio collettivo. Il perno centrale è sempre rappresentato da Justin Greaves, affiancato e sostenuto dalle parole e dalla vocalità di Belinda Kordic, ma a completare la formazione oggi abbiamo Helen Stanley (piano, tastiere e tromba), il chitarrista Andy Taylor ed una seconda voce, maschile, del cantante e chitarrista Joel Segerstedt. Il quintetto, dunque, torna a presentarsi al suo pubblico con un nuovo mastodontico lavoro, che rappresenta una sorta di elogio della diversità e dell’alienazione. Si parte proprio così, con un manifesto programmatico intitolato “Incantation For The Different”, che parte dal celebre motto di Steve Jobs, “think different”, per poi ricordare a tutti come il pensiero trasversale sia di fatto un privilegio, qualcosa che eleva chi è già al vertice della piramide sociale ed emargina invece chi nella diversità si trova semplicemente fuori dalle logiche della massa. E “Banefyre” stesso, da un punto di vista musicale, fa di tutto per esprimere la sua diversità, fino a diventare addirittura respingente in certi passaggi. E’ un lavoro enorme, che arriva quasi a toccare i cento minuti di durata, e che al suo interno prova a far convivere umori e sonorità molto diverse, che potremmo definire post-rock in mancanza di qualcosa di più preciso. Ci troviamo così a rivivere la caccia alle streghe accompagnati dalla voce di Belinda in “Wyches And Basterdz”, ci inoltriamo nelle litanie spiritiche ed ipnotiche di “Ghostland”, mentre con “Bonefire” torniamo ad una forma canzone più tradizionale, con un arrangiamento curato ed elegante. Tocca a “Rose Of Jericho”, con i suoi tredici minuti, dare il via alla prima delle suite e il risultato convince pienamente: delle chitarre che avrebbero fatto la gioia di Daniel Cavanagh si mescolano ad un arrangiamento di fiati quasi morriconiano, in un improbabile incontro che però funziona ed ammalia.
Da qui, però, qualcosa si inceppa: i Crippled Black Phoenix, vengono forse soverchiati dal loro stesso entusiasmo compositivo e iniziano a presentarci una serie di canzoni che non riusciamo a definire in maniera diversa se non ‘riempitive’: “Blackout77”, “The Pilgrim” e “Everything Is Beautiful But Us” passano senza entusiasmarci e, al contrario, finiscono per appesantire un’opera già sfidante per sua natura. Dobbiamo aspettare la parte finale dell’album, con l’ottima “I’m OK, Just Not Alright” e la maestosa “The Scene Is A False Prophet” per trovare ancora quell’ispirazione che avevamo riscontrato nelle prime battute dell’album. Ancora una volta, dunque, la sensazione che abbiamo è quella di una band baciata da una vena creativa molto florida, che però non riesce a fare quel salubre lavoro di sintesi che permette di esprimere meno concetti ma con maggiore forza. Di fronte ad una tale ricchezza di stimoli, “Banefyre” troverà senza dubbio una nicchia di ascoltatori in grado di apprezzarlo e di trovarvi sempre nuovi spunti, ascolto dopo ascolto. Al momento, però, ci sembra che rispetto ad “Ellengæst”i Crippled Black Phoenix abbiano subìto una parziale battuta d’arresto, che ci auguriamo possa rientrare facilmente con il prossimo album.