7.5
- Band: CRIPPLED BLACK PHOENIX
- Durata: 00:54:40
- Disponibile dal: 09/10/2020
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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“Ellengæst”: lo spirito forte o il demonio traditore. L’inglese antico, come in ogni cultura dove si accetta l’ambivalenza dei termini, così come la possibilità di unire al tempo stesso i contrari in qualche fortunata liaison, permette soluzioni come questa. E se volessimo parlare di quanto questo nuovo disco degli inglesi possa rappresentare all’interno della loro discografia, così come della loro evoluzione, dovremmo settarci sulle medesime coordinate ambivalenti.
Già, perché la band di Justin Graeves si è trovata qui ad avere del materiale pronto per essere inciso ma senza aver fatto i conti con la mancanza di una formazione completa. Per sistemare le cose son bastate un paio di telefonate e – ci piace pensare – in poco tempo si è avuto tra le mani un lavoro che annovera all’interno del personale contributi come quelli di Vincent Cavanagh (Anathema), Kristian ‘Gaahl’ Espedal, l’ex bassista Ryan Patterson, Suzie Stapleton e Jonathan Hultén (Tribulation). E la cosa più interessante è che, all’interno di un ascolto complessivo del lavoro, tutti questi contributi partecipano ad un’omogeneità sonora che solo una band solida e matura può permettersi. Ed i Crippled Black Phoenix sono una di queste.
I migliori episodi in termini di appeal immediato si ritrovano per tutto il disco, senza particolari momenti deboli, ma è nel lato A che già il tutto sembra pienamente convincente: soprattutto nella prima “House Of Fools”, con i fiati che contribuiscono a ricreare un’atmosfera magniloquente che però non sfocia nell’onirico, nel nebbioso e nel post-rock del precedente (e riuscitissimo) “The Great Escape”, ma restano tasselli di un puzzle più solido e rock, che non pretende, questa volta, di volare più in alto di quanto possa. La seconda traccia risulta un po’ un singolo che più o meno ci si aspetta dalla band di Graeves: pattern ben strutturato e divagazioni melodiche ben architettate per arrivare ad un risultato tanto evocativo quanto deciso, pur senza troppi fronzoli. In entrambi i pezzi Belinda Kordic, voce femminile della band, duetta con Cavanagh in una particolarmente empatica soluzione stilistica. Il terzo pezzo è un altro standard della band inglese, la semiballad vintage rock a tinte fosche “In The Night”, in cui Belinda duetta con Gaahl, in uno degli episodi forse più interessanti dell’intero lavoro. “Live to fight day by day” si dice nel finale. Proprio come ogni band che si rispetti. Menzione speciale per il singolo tutto Sister Of Mercy che ha presentato l’ottavo album del collettivo, “Cry Of Love”, uno dei loro pezzi più radiofonici. E anche uno che sarà difficile evitare di eseguire live, soprattutto quando al pubblico piacciono ancora i Paradise Lost, o i vecchi membri della formazione come Patterson. Ottimo anche il contributo della Stapleton nella seconda parte del disco, soprattutto nel gioiellino post-punk dal retrogusto eighties di “Everything I Say”. Immancabile anche la simil-suite canonica di Graeves e soci (memore di un certo precedente emblematico che erano le due parti finali di “The Great Escape”) situata (un po’ stranamente) come penultima traccia, cioè “The Invisible Past”, in cui il crescendo ricorda i fasti della band in questo senso di epos magniloquente. La band ci mette il cuore e Hultèn fa tutto il resto. L’ultimo pezzo, invece, è un po’ un divertissement, cambiando tono, proprio negli ultimi minuti, con una cover dei Bauhaus, “She’s In Parties”. Forse una chiusura troppo debole per l’intensità messa in gioco nei precedenti episodi. Ma si può tranquillamente considerarla una bonus track, dopotutto.
L’ottavo disco dei Crippled Black Phoenix non è certamente sperimentale o particolarmente audace così come ce lo si poteva aspettare, ma rappresenta uno stato di forma convincente, matura e consapevole. Graeves dimostra ancora una volta di tenere il tutto molto saldo, ricordandosi comunque che saranno le belle canzoni ad essere davvero ricordate.