7.5
- Band: CRIPPLED BLACK PHOENIX
- Durata: 01:29:27
- Disponibile dal: 14/09/2018
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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“There’s another world / Breaking through / Beyond the vail / I forgot my sins / The sound of wind / In my wings / I forgot my rage / The great escape within”
Ci sono musiche fatte per restare. Per essere universali. Per riuscire a trascendere quel periodo in cui sono state scritte e imporsi già ad una più duratura fruizione. Nella carriera dei Crippled Black Phoenix ci sono state sicuramente molte correnti, molte influenze, molti sound particolari. C’è stato il folk (o il freak folk, come qualcuno ha detto), c’è stato lo stoner, c’è stato il metal, il post-rock, ma una delle visioni portate avanti dalla band di Justin Greaves è sempre stata quella del sad-core, del dark rock, della malinconia portata nella musica alternativa. “Great Escape” è il viaggio per allontanarsi della depressione, grande spettro di questo secolo, emblema del disagio del presente e della mancanza di speranza nel futuro. Un’ora e mezza di musica (settantacinque minuti senza le due bonus track), doppio vinile e doppio CD, con 36 pagine di booklet. Sembra infatti impossibile non relazionarsi alle tematiche e alle liriche di questo grande (non solo di mole) lavoro, impostato per durare, per restare a lungo, per essere assimilato con calma e con il tempo adatto alla masticazione, alla deglutizione e alla digestione di un’opera come questa. Non vi sono grossi scossoni all’interno del percorso del disco, nessun brano che cerca di svettare sugli altri, ma una grossa omogeneità che pervade l’opera e la mantiene su una linea malinconica portante, di perfetta ascendenza Crippled Black Phoenix. La vera e propria canzone d’apertura è anche quella che è stata scelta come singolo, “To You I Give”, capace già di offrire la sintesi del lavoro, soprattutto con quel crescendo chitarristico che chiude i suoi quasi dieci minuti di durata, e li lascia sfumare con delicate note di tastiera: “We’ll make it right, / the world will still be here tomorrow / No need to cry, / fear is something we can conquer”. I rintocchi più tipici di certa musica made in UK e Nord Europa più legata all’elettronica datata fanno capolino in “Madman”: cassa in quattro (che prosegue “Uncivil War Pt.I), vocoder, quel tocco à la Ulver, senza eccedere in virtuosismi o facili crescendo. La lunghezza di certi brani potrebbe sicuramente risultare eccessiva, ma bisogna relazionarsi anche ad un filone di musica che cerca di offrire un lato cantautorale che possa effettivamente poggiarsi su un modo di fare musica che necessita di tempo, di lunghe pause, di poche modifiche al pattern portante del brano. Scuola Anathema/Katatonia, i Warning di Patrick Walker (anche con i 40 Watt Sun), per restare in Inghilterra. In “Times They Are A-Raging” si ripesca proprio da questo territorio simil-doom, per poi sfociare in una quasi fanfara paesana, in cui l’emotività lenta ed incombente la fa da padrona per veicolare un messaggio di un certo tipo come quello dell’intimità ferita del suo autore. “Maybe we will realise, / Maybe it’s a compromise”. La grande semplicità del lavoro potrebbe sembrare un modo banale di presentare il dodicesimo album di un progetto che ha dalla sua una grande dose di sperimentazione e di coraggio, ma, se intesa nel giusto modo, diventa l’arma in più per far spiccare l’album in una direzione onesta, sincera ed autentica. In momenti in cui la produzione musicale diventa sempre più ostentazione, uscire dalle righe, stravaganza e suoni massicci, i Crippled Black Phoenix decidono di arrivare in sordina, lentamente, fino all’ultimo crescendo di “Great Escape (Pt.2)”. Le soluzioni sono sempre quelle: pad di tastiera d’atmosfera, sfoghi chitarristici, cassa in quattro che cresce e liriche sull’io. E si, qualche voce femminile e qualche tocco di strumenti di altre tradizioni musicali extra-rock. Fatto così, però, questo pastiche standardizzato senza grandi eccessi fa davvero l’effetto che questa musica può ancora veicolare.
“Sorry for the fools who say that an animal can’t understand or feel in any way, / sorry their blood runs so cold, / sorry they have no heart no soul”.(“Nebulas”)