7.0
- Band: CROBOT
- Durata: 00:40:40
- Disponibile dal: 23/09/2016
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Dopo i buoni responsi ottenuti con il debutto “Something Supernatural”, sempre sotto l’egida della Nuclear Blast vede ora la luce “Welcome To Fat City”, secondo disco degli statunitensi Crobot che, già a partire dalla psichedelica copertina, sembrano intenzionati a proseguire il percorso musicale intrapreso nel fortunato predecessore. Per chi non avesse avuto modo di conoscerli, sono sufficienti pochi secondi della title track posta in apertura per inquadrarli nel filone ‘vintage hard-rock’, dove le influenze principali rispondono a mostri sacri come Led Zeppelin, Doors e Black Sabbath. Difficile, se non impossibile, confrontarsi ad armi pari con simili numi tutelari, ma l’abilità del quartetto della Pennsylvania è proprio quella di attualizzare le reminiscenze ’70s con un piglio ed un groove più moderno (sulla falsariga dei migliori Clutch, grazie anche alla produzione di Machine), aggiungendo un tocco psichedelico a rendere il tutto ancora più interessante. Trainati dalla timbrica cornelliana del singer Brandon Yaegley, i quattro mettono in mostra fin dalla title track posta in apertura la loro anima più festaiola, mescolando blues, funk, hard-rock e finanche un giro di armonica (“Easy Money”). Superata di slancio “Not For Sale”, stranamente scelto come singolo nonostante sia uno dei pezzi più deboli dell’album, la parte centrale della tracklist aumenta il tasso di pesantezza grazie a brani come “Temple in the Sky” o “Blood on the Snow”, prima della chiusura affidata alla più ipnotica “Moment of Truth” e alla più divertente “Plague of the Mammoths”. Come anticipato, “Welcome To The Fat City” non inventa nulla, e anzi i suoi autori sono furbescamente abili a cavalcare l’onda del rinnovato interesse verso un certo tipo di sonorità vintage, ma ciò non toglie come i Crobot siano tra i più credibili interpreti di questa nuova ondata in grado di abbracciare 40 anni di storia del rock.