7.0
- Band: CROSSFAITH
- Durata: 00:36:20
- Disponibile dal: 28/06/2024
- Etichetta:
- UNFD
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Il mix tra musica elettronica e metal non è certamente una novità in senso assoluto – basti pensare alle contaminazione dei The Prodigy negli anni Novanta – ma agli albori del nuovo millennio il cosiddetto electronicore era ancora un genere di nicchia, appannaggio di pochi. Tra questi, oltre ai più famosi Enter Shikari ed Attack Attack!, ci sono anche i meno noti Crossfaith, formazione del Sol Levante che festeggia il raggiungimento della maggiore età a livello di gruppo con “AЯK”, quinto full length che arriva a ben sei anni di distanza dal precedente “Ex Machina” e porta con sé un parziale rinnovamento della line-up, con l’uscita del bassista Hiro e l’ingresso di Daiki Koide alla sei corde.
La lunga pausa sembra aver fatto bene al quintetto di Osaka, che si presenta ai nastri di partenza carico come non mai fin dalla tamarrissima “The Final Call”, un concentrato di EDM che ci ha ricordato l’indimenticabile scena di apertura nella discoteca di “Blade”, per poi prendere il volo con “Zero”, altro brano esplosivo che mescola abilmente i breakdown tipici del metalcore con la cassa dritta della techno e un pizzico di folklore nipponico a rendere il tutto più gustoso. Altro highlight del disco è il feat. con gli onnipresenti Wargasm (“God Speed”, una perfetta fusione tra beat eurodance e chitarroni), così come funziona bene l’electro-punk-core di “L.A.M.N.” con Bobby Wolfgang; interessante anche l’atmosfera più epica di “Warriors”, in questo caso con dietro al microfono di SiM dei Mah, con tanto di parentesi reggae che strizza l’occhio agli Skindred.
Anche senza l’aiuto degli ospiti esterni, la sperimentazione resta la cifra stilistica di “AЯK”, muovendosi con agilità tra le classiche bombette EDM-core (“Headshot”) e glitch video ludici dai titoli inpronunciabili (“DV;MM¥SY5T3M”, a metà tra Bring Me The Horizon e Code Orange), ma anche ballad chillwave dal sapore retro (“Night Waves”) o il minimalismo simil Coldplay (!) di “Afterglow”, ideale traino per la conclusiva “Canopus”, che dispensa sorrisi e saccarosio come i migliori 30 Seconds To Mars.
Un ritorno dunque piuttosto variegato, ma al tempo stesso a fuoco, quello della band nipponica, da provare per gli amanti delle contaminazioni più caciarone tra metal ed elettronica.