7.5
- Band: CROWBAR
- Durata: 00:45:19
- Disponibile dal: 28/10/2016
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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Prosegue finalmente con una certa regolarità l’avventura dei venerandi Crowbar. Della svolta di vita di Kirk Windstein, dell’abbandono dai demoni che lo tormentavano e dai vizi che ne avvelenavano l’esistenza, abbiamo detto al tempo dell’uscita di “Symmetry In Black”, disco che andava a rimarcare la rinnovata lena dei quattro sludge metaller di New Orleans, ripartiti alla grande dopo la malattia del batterista Tommy Buckley, tutt’ora al suo posto dietro i tamburi. Mentre al basso si segnala il ritorno di Todd Strange, nella line-up tra il 1990 e il 2000 e ora tornato in seno alla band. Considerata la fedeltà contenutistica avuta in tutta la carriera, con allontanamenti minimi dalla via principale pavimentata di lentezza, grasso, spessa amarezza e pesantezza ai limiti dell’obesità, non stupisce che “The Serpent Only Lies” sia un album assimilabile a null’altro se non ai Crowbar stessi. Il forte interesse alla melodia, a un fraseggiare meno concitato e aperto a barlumi di positività, dono prezioso presente nel precedente full-length, va a permeare anche la nuova uscita, nella quale va però a risentirsi una ruvidezza rimasta un po’ in disparte in “Symmetry In Black”. Nelle note di presentazione della sua ultima fatica Windstein ammette di essersi riascoltato minuziosamente la discografia passata, proprio per riappropriarsi di un certo tipo di feeling. Missione compiuta senza dimenticare le piccole evoluzioni recenti, non ultima quella di prestare una dovuta attenzione alla pulizia della registrazione e alla rotondità del riffing. Il menu è ampio e variegato, non ha ‘portate’ insipide e presto dimenticabili, assesta i suoi bei sganassoni quando serve e concede quelle sane carezze da amabili uomini di mondo che i Crowbar, ora che hanno qualche anno sulle spalle, danno volentieri ai propri affezionati. Kirk rumina riff sabbathiani intinti nello strutto, disegnando midtempo sudati e piuttosto movimentati, che non si impantanano nelle sabbie mobili dell’asfissia a tutti i costi, riuscendo piuttosto ad essere gustosi e prelibati come un’abbondante grigliata cotta al punto giusto. Eccoci allora a grondare sudore e spaccarci di headbanging sulle note di “Falling While Rising” e “As I Heal”, che vedono i quattro stenderci con combinazioni conosciute ma tutt’altro che noiose o prevedibili. Al contrario, la modulazione di momenti rabbiosi e pause distensive acquista sempre una sua geometrica sensatezza, grazie a un lavoro d’insieme che non perde di vista per un istante la fluidità d’azione e mette sempre in risalto un pizzico di orecchiabilità. Ignoranza e riflessività hanno possibilità di convivenza in molte tracce, a cominciare da “Plasmic And Pure”, che a modulazioni pressanti e implacabili alterna il decantare pulito di Windstein e un impianto armonico caro al beneamato rock sudista. Altrove (“Surviving The Abyss, “Song Of The Dunes”) la malinconia spadroneggia e varchiamo a sprazzi le soglie della ballata, anche se di vera leggerezza non c’è traccia, perché in un attimo le chitarre riprendono a strangolare e calpestare, sottintendendo l’essenza heavy metal della formazione. Attorno all’essere veramente ‘heavy’ ruota un po’ l’intero album, che anche quando molla la presa non lesina in forza bruta, richiamando veramente la carica degli anni giovanili. C’è spazio anche per alcune accelerazioni veramente brutali (“The Serpent Only Lies”, “The Enemy Beside You”), assistite da un inasprimento della voce del leader, a suo completo agio sia quando c’è da urlare e dare fuori dai gangheri, sia quando si siede su un’immaginaria veranda a dare buffetti alle giovani leve e sfodera toni morbidi, quasi paterni. Fangoso, melodico, sconvolto e pure prodotto alla perfezione… cosa altro volere dall’undicesimo appuntamento su lunga distanza coi maestri dello sludge metal? Ascoltate fiduciosi, zio Kirk non ha dato delusioni ai suoi adepti neanche stavolta.