7.0
- Band: CRUELTY
- Durata: 00:41:59
- Disponibile dal: 30/04/2021
- Etichetta:
- Church Road Records
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Da non confondersi con i quasi omonimi autori dell’ignorantissimo “A Dying Truth”, i Cruelty sono uno dei nomi più caldi emersi dal vivaio hardcore/metal britannico negli ultimi anni. Una formazione che, in linea con l’immaginario caustico e violento della propria musica, finora ha sempre anteposto i fatti all’esposizione social di altri giovani colleghi, scegliendo di adottare un profilo working class e di costruirsi una reputazione sempre più solida grazie ad un’attività live mirata e ad una serie di pubblicazioni minori utili a cementarne la proposta.
Il 2021 è quindi il momento del tanto agognato debut album per il quintetto, il quale viene licenziato dalla connazionale Church Road in un’escalation di nevrosi e cocci di vetro infranti che rimanda direttamente alla tradizione chaotic e post-hardcore di tardi anni Novanta/inizio anni Duemila, con gli spettri di Converge, Botch, primi Dillinger Escape Plan e Zao ad infestare ogni angolo della spigolosissima tracklist (prodotta egregiamente da Taylor Young e Brad Boatright). Una proposta sicuramente ‘difficile’ e ambiziosa, quella espressa dai dodici capitoli di “There Is No God Where I Am”, che rifugge il mero sfoggio di muscoli e aggressività (comunque presente) in favore di un approccio più cerebrale in grado di confluire sia in parentesi contorte e frenetiche, sia di sfumare in improvvise digressioni atmosferiche dal sapore mesto e drammatico. E se le prime, soprattutto nella parte centrale dell’opera, non sempre riescono ad essere caratterizzate a dovere, con scatti e convulsioni talvolta poco comunicativi, le seconde rappresentano il vero nodo espressivo dell’ascolto, mettendo in mostra una sensibilità, un gusto melodico e una capacità di dosare pieni e vuoti affatto scontati per una formazione tanto spietata e negativa.
L’intro “An Introduction”, “A Lie That Makes Life Bearable”, “If There Is A God, He Does Not Believe In Me”, “Barren Land In Bloom” o la conclusiva titletrack, in cui fa persino la sua comparsa un violino, rappresentano dei modelli stilistici che ci auguriamo di vedere espansi e approfonditi in futuro, nell’ottica di un percorso di crescita che potrebbe portare i Cruelty a diventare uno dei nuovi fari della scena metal-core meno abbordabile e conciliante. Noi, come si suol dire, aspetteremo i ragazzi al varco.