7.0
- Band: CRYPT SERMON
- Durata: 00:42:42
- Disponibile dal: 24/02/2015
- Etichetta:
- Dark Descent
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Alla Dark Descent devono aver pensato che, visto il fiuto da segugio dimostrato nello scoprire nuovi talenti in orbita death e black metal, con una percentuale d’errore risibile, fosse il tempo di allargare i confini di genere. Non trattandosi di una label di sprovveduti, il passo è stato compiuto di lato, in zone limitrofe, e non ci stupisce quindi vedere la pubblicazione dei primi album doom per la casa discografica statunitense. Ad inaugurare la tendenza ci hanno pensato gli Anguish a gennaio con “Mountain”, ed ora i Crypt Sermon bissano quest’uscita, con un esordio su lunga distanza già capace di attirare un certo interesse. Interesse che, vuoi per il valore della release, vuoi per la sua connotazione sonora nettamente meno criptica e difficoltosa del materiale normalmente rilasciato dall’etichetta di Matt Calvert, potrebbe con un po’ di fortuna travalicare i ristretti confini dell’underground. Perché un conto sono le filiazioni demoniache e ultrariverberate del doom, quelle marcescenti, rallentate fino alla catatonia, che hanno imbastardito con successo sludge, death, black, perfino hardcore in questo incandescente lustro; un conto è il doom metal di diretta ascendenza classic metal, territorio in buona fioritura di talenti ma dove i mostri sacri Candlemass e Solitude Aeturnus sono quasi sempre inattaccabili. I Crypt Sermon, nati da una costola dei death metaller Trenchrot, di cui fanno parte il cantante Brooke Wilson e il chitarrista Steve Jansson, hanno capito fin dal principio il dosaggio degli ingredienti, e hanno sfornato un lotto di pezzi strutturati con la competenza di chi sente riecheggiare nella propria testa, ogni minuto della giornata, “The Bells Of Acheron” e “It Came Upon One Night”. Volumi alti e intransigenti, chitarre corpose e affilate, un uso parsimonioso della melodia in crescendo, con punte di grande eleganza, si accompagnano alla ricercatezza per l’epos solenne, mai smargiasso, elusivo rispetto a un’eccessiva crudezza e al contrario immaginifico, proiettato alla dimensione onirica e metafisica. Il provenire da un contesto extreme metal da parte di un po’ tutti i musicisti qui impegnati gioca a favore dell’impatto, squassante, delle ritmiche chitarristiche: il riffing, a ben vedere, lambisce in ruvidezza il modus operandi del death-doom, anche se il respiro melodico è ovviamente marcato e non si indulge più di tanto nella mestizia. La costruzione dei pezzi non presenta, chiaramente, tratti rivoluzionari e non ci si avventura in progressioni e divagazioni fuori dal contesto del doom ottantiano, come non vi è praticamente traccia di ripescaggi seventies. Un tratto caratteristico, invece, lo ritroviamo nell’interpretazione vocale di Wilson: in mezzo a vocalizzi vibranti, altisonanti, fierissimi, spunta qua e là un feeling comunicativo più terreno, popolare. Un modo di interagire, di esprimersi, che rimanda tenuemente alle performance irresistibili di un John Bush oppure, e qui si tratta proprio di piccoli dettagli, all’impulsività da rocker ribelle di Kory Clarke. Una mescolanza di approcci lirici che ritroviamo in particolare durante “Heavy Riders”, non a caso il pezzo più distintivo dell’intero “Out Of The Garden”, con una sventagliata durissima nella seconda metà che incrocia sapientemente Solitude Aeturnus, Armored Saint e, saremo partiti noi per la tangente, un pizzico di Warrior Soul. Il resto della tracklist, comunque di ottima fattura, è meno avventuroso e rimanda fedelmente ai Candlemass quando erano feudo di Messiah Marcolin – soprattutto nelle parti più lente e sognanti – e ai Solitude Aeturnus, ricalcati esplicitamente quando la lancetta del tachimetro si sposta verso destra. Il valore complessivo dell’opera non arriva ancora alle primizie supreme dei gruppi summenzionati – anche se una “Into The Holy Of Holies” all’interno di “Ancient Dreams” ci sarebbe stata tranquillamente – e qualche sprazzo di dinamismo in più avrebbe probabilmente condizionato, in positivo, il nostro giudizio, ma con un esordio di questa fattura possiamo solo avere aspettative positive per il futuro dei Crypt Sermon.