CRYPT SERMON – The Ruins Of Fading Light

Pubblicato il 10/09/2019 da
voto
8.5
  • Band: CRYPT SERMON
  • Durata: 00:55:06
  • Disponibile dal: 13/09/2019
  • Etichetta:
  • Dark Descent
  • Distributore: Audioglobe

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“Out Of The Garden”, l’esordio su lunga distanza del 2015, aveva segnalato i Crypt Sermon come una delle compagini epic doom più interessanti in circolazione. Nonostante la forte aderenza ai dettami di Solitude Aeturnus e Candlemass nel periodo d’oro di Messiah Marcolin, l’album offriva canzoni di qualità troppo alta per essere considerate delle semplici rivisitazioni filologiche di un altrui operato. Quattro anni e mezzo più tardi, parlare di un semplice miglioramento e raffinamento delle formule offerte nel primo disco, sarebbe limitante e alquanto ingeneroso. Da realtà prettamente doom, ora i Crypt Sermon compendiano tutte le qualità che rendono una heavy metal band semplicemente adorabile, un fiume in piena di quelli che riconducono sotto un comune vessillo i fan dei generi classici più disparati.
“The Ruins Of Fading Light” parla il linguaggio del classic metal profondo, passionale, epico senza essere stucchevole, evocativo di scenari fantasy dove i protagonisti non sono macchiette, ma uomini e donne complessi e sfaccettati, così come di ampio respiro, enfatici e coinvolgenti sono i brani della tracklist. Una collezione di anthem infiorati di melodie ampie, strofe tese e incalzanti che si infrangono in chorus stupefacenti, richiami mitologici capaci di far viaggiare la mente, di farla lavorare di fantasia iniettandole dosi di chitarre massicce e versatili, heavy e maestose, cruente quanto abili a ricamare nenie conturbanti. Composizioni dal taglio moderatamente progressivo, crescendo inarrestabili che catturano alla prima nota, frequentano acque limacciose, sanno dialogare col maligno ma infine si aprono al celestiale, alla gloria, trasudando un misticismo antico; riecheggiante in quelle che sono, a tutti gli effetti, svettanti cattedrali di suono.
Non sono abiurate le influenze doom che avevano reso così bene in “Out Of The Garden”, ma accanto ad esse si manifesta l’epos dei migliori Manowar (“Key Of Solomon” potrebbe uscire da “Into Glory Ride”) e rifulge la corazzatura d’acciaio degli Sword di “Metalized”, degli Armored Saint o dei primi Metal Church. Se ciò avviene per merito di un riffing magistrale nel tradurre gli influssi delle leggende del passato in un coagulo di partiture molto personali, la firma più lampante a uno ‘stile Crypt Sermon’ lo dà la straordinaria prova vocale di Brooks Wilson. Un attimo lo trovi a vestire i panni del sacerdote di qualche lugubre cerimonia sacrificale, quello successivo declama versi accorati in un etereo pulito, oppure ringhia tagliente cavalcando midtempo minacciosi. Estensione al servizio dell’impeto, potenza calibrata per raccontare storie articolate e avvincenti, che tengono sulle spine, mozzano il respiro e pompano adrenalina.
L’energia con cui i Crypt Sermon suonano li fa quasi assomigliare un ensemble estremo sotto mentite spoglie, quando c’è da picchiare duro sono incontenibili e questa foga dà una marcia in più a canzoni che scorrono magnificamente dal primo all’ultimo secondo, senza incertezze né fasi di semplice raccordo. Qualche tastiera di sottofondo aiuta nell’ingioiellare di sentori medievali le parti più atmosferiche, a volte così incantevoli da richiamare perfino i Fates Warning dei primi tre dischi. Se la già citata “Key Of Solomon” è colei che allarga il cuore e ci fa capire abbastanza presto quanto si voli alto in “The Ruins Of Fading Light”, numerose sono le tracce altisonanti, potenziali classici da tramandare ai posteri. Ne citiamo volentieri altre due, che peregrinando nell’ombra, come monaci compìti in un’austera abbazia, durante un sordido processo inquisitorio, fanno scorrere brividi lungo la schiena. “Christ Is Dead” esalta sardonica quanto comunicato nel titolo, cupa e arcigna, si muove ardita su un sottile crinale, quello che separa veementi toni bathoryani e un’interpretazione sofferta figlia di un doom tragico di impronta scandinava. Mentre un sinistro arpeggiato e l’assolo principale ammantano il tutto di un’aura decadente, che rimanda al prog/power americano più drammatico. Infine, non possiamo non citare l’angosciante soffocare di “Beneath The Torchfire Glare”, che rallenta i ritmi su tempi spossanti, cui si accorda una prestazione mefistofelica di Wilson, per quello che è il momento di maggior cupezza dell’album. In un anno che sta dando nuova linfa al classic metal, con diverse uscite di gruppi emergenti a farsi positivamente notare, “The Ruins Of Fading Light” è un disco che non va assolutamente ignorato.

TRACKLIST

  1. The Ninth Templar (Black Candle Flame)
  2. Key of Solomon
  3. Our Reverend's Grave
  4. Epochal Vestiges
  5. Christ Is Dead
  6. The Snake Handler
  7. Oath of Exile
  8. Enslave the Heathens
  9. Beneath the Torchfire Glare
  10. The Ruins of Fading Light
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