7.5
- Band: CRYPTOPSY
- Durata: 00:34:54
- Disponibile dal: 11/09/2012
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Ci immaginiamo Flo Mounier nella sua casa di Montreal, intento a leggere recensioni di “The Unspoken King” sempre più severe, a rispondere ad interviste con toni stizziti, a montare una rabbia debordante nei confronti di fan e addetti ai lavori, che non hanno capito o apprezzato l’ultima fatica della sua band. Ce lo immaginiamo mentre compone il numero di Jon Levasseur, con il sogno di riaverlo in formazione: l’ultima soluzione per ravvivare il nome Cryptopsy, per riscattarsi o, più semplicemente, per sperare di poter recuperare almeno un minimo del prestigio e del denaro che il tremendo flop dell’ultimo album si è portato via. Una ruffianata pazzesca. Ma Levasseur, chitarrista su tutti gli album storici del gruppo, sino a “… And Then You’ll Beg”, accetta. E noi oggi godiamo. Sì, perchè anche se la mossa appare poco sincera, studiata ad hoc per ingraziarsi nuovamente coloro – tantissimi! – che non sono proprio riusciti ad associare il nome Cryptopsy allo sconclusionato “The Unspoken King”, questa porta a un risultato oggettivamente molto gradevole. “Cryptopsy”, in sostanza, è un’opera ruffiana tanto quella che l’ha preceduta: “The Unspoken King” provava a cavalcare – maldestramente – l’ondata death-core all’epoca tanto in voga; il nuovo omonimo album invece sbandiera a più non posso una smisurata integrità death metal e tutti gli elementi che un tempo hanno reso i canadesi delle icone di questo genere. La differenza sta esclusivamente nel fatto che i “Cryptopsy death metal” – a maggior ragione con Levasseur ad una delle chitarre – sanno come comporre dei brani martellanti e convincenti, mentre i “Cryptopsy melodici” (o pseudo death-core) hanno ben poca cognizione di come ci si debba muovere all’interno di quei territori musicali. “Cryptopsy”, di conseguenza, si fa ascoltare con piacere… e anche tante volte. Nelle sue otto tracce troviamo tutti i trademark dei Nostri, rivisitati e assemblati con innata ispirazione: le strutture nervose, i cambi di tempo iper tecnici, i blast-beat “a elicottero” di Mounier, il basso intraprendente (oggi a cura di Olivier Pinard dei Neuraxis), il riffing spasmodico che ogni tanto apre a trame a più lineari e catchy, giusto per rendere il brano memorizzabile. Un frullato di “None So Vile”, “Whisper Supremacy” e “… And Then You’ll Beg” tanto prevedibile quanto ben realizzato, condito dal solido growling di Matt McGachy (che ha ovviamente lasciato perdere le clean vocals) e avvolto in una produzione comunque al passo coi tempi. “Cryptopsy” è, in sintesi, come uno di quei kebab o di quelle “cinesate” che ci si divora nel cuore della notte dopo aver fatto il pieno di birra: finchè la pietanza è adeguatamente gustosa e appagante, non è strettamente necessario farsi troppe domande su che cosa ci sia dietro.