9.5
- Band: CRYPTOPSY
- Durata: 00:32:03
- Disponibile dal: 03/07/1996
- Etichetta:
- Wrong Again Records
- Distributore: Audioglobe
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La seconda metà degli anni ’90 viene di rado ricordata come un periodo particolarmente florido per il death metal. È però anche vero che tale percezione viene spesse volte condizionata da una serie di fattori, in certi casi anche extra-musicali, che finiscono per travisare l’effettiva realtà dei fatti. Certo, il numero di pietre miliari partorite nel periodo 1995-1999, rispetto a quello della prima parte dello stesso decennio, è decisamente inferiore: d’altronde, basta solo la leggendaria annata del 1991 per far impallidire qualsiasi cosa venuta prima e dopo in questo campo! Inoltre, non bisogna sottovalutare il fatto che, attorno a quegli anni, alcune importanti band del filone iniziarono a spostarsi su territori musicali differenti, contaminando il proprio sound con nuove influenze e compiendo qualche passo lontano dal death metal originario. Senza stare a stilare liste infinite, basta pensare agli Entombed e al loro death’n’roll, ai Gorefest (più o meno impegnati in un simile tipo di evoluzione) oppure, sotto certi aspetti, ai Grave, agli Obituary o ai Dismember, in quel momento tutti intenti a realizzare dischi un po’ più “morbidi” del solito. Infine, sempre all’epoca, il metal stava vivendo un periodo di stallo a livello commerciale e si stava assistendo a una vera e propria spaccatura nella scena, con gruppi da una parte intenti a esplorare l’allora nuovo fenomeno crossover/nu metal e con altri immersi nel recupero di sonorità ed estetiche tradizionali dall’altra – cosa poi sfociata nella memorabile ondata classic-power guidata da Blind Guardian, Hammerfall, Stratovarius e Gamma Ray. A lato di tutto ciò, infine, il giovane circuito gothic, in netta ascesa grazie soprattutto all’exploit delle band del roster Century Media Records – come, ad esempio, Tiamat e The Gathering – e quello melodic death, con Dark Tranquillity e In Flames che iniziavano a raccogliere l’eredità degli At The Gates. Insomma, come accennato in apertura, per tutta una serie di motivi, il death metal all’epoca veniva visto dalle masse quasi come qualcosa appartenente a un passato più o meno remoto; qualcosa di poco “cool”, qualcosa di poco interessante, almeno se paragonato ad altri sotto-generi metal come appunto il crossover/nu o il power. Tutto questo nonostante capolavori come “Symbolic” dei Death o “Pierced From Within” dei Suffocation fossero stati pubblicati grosso modo in quel periodo. Il 1996, poi, aveva regalato altre perle, sebbene in ambienti più underground: “Here In After” degli Immolation, “Millennium” dei Monstrosity o “Psychostasia” degli Adramelech rientrano tutti in questa annata, così come “None So Vile” dei Cryptopsy, gruppo canadese che sin lì si era fatto notare solo per un buon disco di debutto, “Blasphemy Made Flesh” (1994). Proprio il quintetto di Montreal è autore con il suo secondo full-length di uno degli album death metal più importanti di sempre – quindi non solo del periodo sin qui descritto. “None So Vile”, infatti, assieme al succitato “Pierced From Within” dei colleghi statunitensi Suffocation, è il disco che getta definitivamente le basi per quello che di lì a poco verrà sovente descritto come “brutal” death metal, sound che estremizza la componente tecnica e quella aggressiva del death metal di matrice nordamericana per un risultato finale ancor più frenetico e cerebrale. Proprio ‘frenetico’ è il primo aggettivo che viene alla mente durante le prime fruizioni del platter in questione: passano i minuti e si fa sempre più forte l’impressione che i musicisti dei Cryptopsy siano in realtà le pale di un elicottero, o le lame di un tritacarne. Del resto, Flo Mounier – da molti considerato il miglior batterista death metal di sempre – pare perennemente in preda a una crisi epilettica mentre suona: la sua prova è leggendaria, sia in termini di velocità che di fantasia. È facile concentrarsi sui sui inumani blast-beat, ma ci vuol poco per notare i pazzeschi fill con cui farcisce ogni break, il tecnicissimo lavoro di piatti e, in generale, la follia e l’intraprendenza con cui il Nostro sorregge ogni passaggio: ascoltando le singole tracce, è come essere alle prese con degli assoli di batteria, messi però al servizio della musica; nulla appare eccessivo, nulla risulta fuori posto… come se Mournier avesse trovato il compromesso perfetto tra razionalità e schizofrenia. Parlare di “None So Vile” significa soprattutto descrivere le singole performance dei musicisti che lo hanno concepito, perchè ognuno di essi riesce a a distinguersi e, al tempo stesso, a valorizzare il lavoro dei compagni. Il chitarrista Jon Levasseur dà qui il suo meglio con una serie di assoli melodici immediatamente riconoscibili, ma anche con una pletora di riff uno più feroce dell’altro. Come per il suo collega dietro le pelli, vale il discorso dell’ottimo compromesso tra perizia tecnica e cattiveria: Levasseur si pone esattamente nel mezzo, sfoderando una prova incredibile sia per ingegnosità che per violenza. Una prova in cui non vengono poi sottovalutati elementi come groove (sentite “Graves Of The Fathers”) e appunto melodia. Éric Langlois, al basso, non è da meno: il suo operato, grazie anche a un pregevole lavoro di slapping, si sente, eccome! Non siamo di fronte al classico disco death metal in cui il basso è sotterrato da tutto il resto: pezzi come “Benedictine Convulsions” o “Slit Your Guts” offrono grandi esempi di come questo strumento sia in grado di trovare spazio e di diventare protagonista anche in uno stile tanto cupo e brutale come il death metal. Infine, come non citare le linee vocali del frontman Lord Worm? Per iniziare, è forse bene specificare che parlare di “voce” in questo caso è a tratti quasi una forzatura: Dan “Lord Worm” Greening qui suona più come una bestia – ora furente, ora in agonia – che come un essere umano. Ciò che fuorisce dalla sua cavità orale è quanto di più animalesco e incontrollato si sia udito su un album death metal: è un modo di urlare assolutamente esasperato, portato all’eccesso sotto ogni punto di vista, tanto da far suonare anche i versi in apparenza più lineari come un insieme di rantoli e urla strozzate che di norma sarebbero esclusivamente sinonimo di insanità mentale e frenesia omicida. Di sicuro, questa sequela di “Hurgh Hurgh!!!” e “Huargh Ghiaah!!!” costituisce uno degli aspetti più difficili e controversi di “None So Vile”: Lord Worm porta una proposta già di per sè mostruosa su un livello ancora più agghiacciante: deforma ulteriormente il deforme, imbruttisce ciò che è già un abominio. Con la loro seconda opera, i Cryptopsy dimostrano insomma che si può andare oltre, sotto qualsiasi punto di vista: si può essere più indiavolati degli allora maestri Suffocation, con riff e “voci” ancora più opprimenti, e si può essere più tecnici di Dream Theater e compagnia candida, pur andando a una velocità cento volte maggiore; il tutto senza dimenticare il concetto di canzone e senza sottovalutare i principi di una produzione nitida e funzionale. Nonostante sia stato pubblicato in un periodo nel complesso poco ricettivo, “None So Vile” è riuscito ad emergere e a diventare un baluardo per tutti gli aspiranti death metaller delle nuove generazioni. Ancora oggi è un disco che fa scuola ed è il primo esempio per tutti coloro che in questo campo trovano che sia possibile concepire un album in cui la tecnica non annulla la brutalità, e viceversa. Una buona parte del death metal degli ultimi 15 anni passa da qui.