7.0
- Band: CRYPTWORM
- Durata: 00:33:40
- Disponibile dal: 11/03/2022
- Etichetta:
- Me Saco Un Ojo Records
- Pulverised Records
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Ritornano dopo poco meno di due anni di silenzio, i Cryptworm, moniker dietro il quale opera il duo ungherese-britannico composto dal polistrumentista Tibor Hanyi (di recente visto all’opera nei notevoli death-doom metaller Rothadás) e dal batterista Joe Knight. Dopo il discreto successo dell’EP “Reeking Gunk of Abhorrence”, i ragazzi confermano il sodalizio con la Me Saco Un Ojo Records (LP) e con la Pulverised (CD) per la pubblicazione di questo primo full-length, dal titolo altrettanto sobrio di “Spewing Mephitic Putridity”. In questo nuovo lavoro il gruppo si guarda bene dall’allontanarsi dalle influenze e dalla formula espresse agli esordi, confermando tutto il proprio amore per una forma particolarmente rozza, groovy e lineare di death metal, puntualmente contaminata da influssi gore-grind e da altre trivialità.
L’atmosfera generale di “Spewing…” è rigorosamente malsana e asfissiante, e la scelta di prediligere spesso midtempo grassi e claudicanti nelle ritmiche, con tutta probabilità non farà che rendere il suono ancora più sguaiato e sgradevole alle orecchie degli ascoltatori occasionali o dei cosiddetti ‘turisti del genere’. Vi è sicuramente parecchia esperienza alla base del songwriting dei Cryptworm, qui bravi a reinterpretare il sound di gente come Dead Infection, Machetazo, Rottrevore e primi Undergang con indubbia genuinità e una notevole ‘botta’ a livello di produzione. Ascoltando il disco tutto d’un fiato e con attenzione, però, si ha l’impressione che lo schema alla base dei brani sia tutto sommato sempre lo stesso e che, inoltre, certi motivi chitarristici siano un po’ troppo ricorrenti o portati per le lunghe. Come avvenuto in qualche uscita degli Undergang, qua e là si fa insomma largo la sensazione che alcuni riff siano già stati utilizzati poco prima, cosa che fa perdere al disco un po’ di spinta e freschezza nella sua seconda metà. D’altronde, gli stessi colleghi danesi, dopo un exploit iniziale, ci hanno messo un po’ per affinare la loro proposta, quindi in questa sede tenderemo a vedere certe disattenzioni come dei normali peccati di inesperienza. Anche se gli ingredienti rimescolati tra loro sono sempre gli stessi, l’album riesce infatti a farsi apprezzare grazie ad una durata azzeccata (poco più di mezz’ora) e ad un paio di episodi sopra la media – “Disgorged Chunks of Life” e “Disembowelment (Draped in Gore)”, ad esempio – che azzannano ed entrano, letteralmente, subito nel cuore. Per coloro alla ricerca di un death metal volutamente ignorante, sarà facile quindi dargli qualche ascolto, a maggior ragione se “Reeking…” aveva destato il vostro interesse.