8.0
- Band: CULT OF FIRE
- Durata: 00:47:33
- Disponibile dal: 30/11/2013
- Etichetta:
- Iron Bonehead Prod.
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La prima cosa che colpisce nel secondo album dei cechi Cult Of Fire è sicuramente la scintillante copertina e i titoli in sanscrito, perché sia subito evidente che poco nella musica del terzetto è fatto per passare inosservato o per essere supinamente e tranquillamente digerito, perché l’intento è quello di scuotere, di colpire l’ascoltatore, smuovendo l’ovvio di certe certezze e abitudini. Sinora si è saputo poco di questa formazione, anche se due dei suoi membri fanno parte, fra gli altri, anche dei Maniac Butcher, realtà storica del panorama estremo dell’Europa orientale. Siamo tuttavia convinti che ben presto Cult Of Fire diventerà il progetto principale per questi musicisti, vista la straordinaria classe e la personalità ostentata in questa nuovissima opera, la prima ad uscire per Iron Bonehead. Si tratta forse di uno dei pochi dischi di quest’anno che che faranno parlare di sé anche in futuro: un concentrato di black metal inquieto, filtrato con soluzioni di derivazione orientale (trame di sitar, ecc) che sovente aprono le porte a sonorità ariose ed epiche, dense anche sul piano armonico. Un’anima progressiva e una forte componente rituale si mescolano finissimamente con un black metal che dovrebbe rivolgere un sentito ringraziamento a primi Darkthrone e Satyricon; si volteggia, sospesi su ali di riff a tratti celestiali e maestosi che conducono ad una sorta di regno ultraterreno, un viaggio che non può interrompersi. Il gruppo è un tutt’uno con la musica, che sembra fluire automatica dagli strumenti come ne fosse il prolungamento necessario. La tracklist consta di otto brani, ma si tratta sostanzialmente di una singola lunga suite, nella quale convivono amabilmente il background estremo e le contaminazioni sciamaniche e orientaleggianti, che evocano visioni eccentriche di antiche divinità che creano e distruggono la vita. Un album indubbiamente molto studiato, ma che si lascia assorbire con piacevole contemplazione, senza troppe pretese ermetiche o intellettualoidi; un album in grado di regalare immense eternità alchemiche, ma che mantiene la melodia come fulcro, anche nei momenti più rabbiosi. La capacità dei Cult Of Fire di mescolare tutte le loro influenze senza risultare boriosi è d’altronde la vera marcia in più del lavoro, che suona fluido, brillante e, appunto, personale senza mai disorientare tanto per il gusto di farlo. L’eccentricità maggiore, insomma, risiede nei titoli. Non lasciatevi spaventare.