8.5
- Band: CULT OF LUNA
- Durata: 01:06:45
- Disponibile dal: 25/01/2013
- Etichetta:
- Indie Recordings
- Distributore: Audioglobe
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Gioite! La vena compositiva dei Cult Of Luna continua a vivere di vigore e freschezza e questo ultimo lavoro conferma a pieno le premesse e le aspettative generatesi nei cinque anni di vuoto discografico che lo hanno preceduto. Ci è voluto effettivamente parecchio prima di rivedere il gruppo tornare con il successore di “Eternal Kingdom”, ma Johannes Persson e soci questa volta si sono davvero superati, confezionando quella che è probabilmente il loro lavoro più curato e personale: un concept album influenzato dal capolavoro del cinema espressionista “Metropolis” (1927), l’opera più celebre del regista austriaco Fritz Lang, recentemente restaurata. Un disco lunghissimo, cupo e visionario, che vede i Cult Of Luna vestire finalmente i panni di leader del cosiddetto filone “post” metal. Li avevamo lasciati con un album che rivisitava e mescolava e li ritroviamo con uno che invece si proietta in avanti, abbracciando atmosfere sinora inedite per il collettivo. Paesaggi asettici e cristallizzati in cui prevale smarrimento e rapimento. Anfratti miseri e inquietanti in cui prendono vita giochi di luce e riverberi di colore prodotti dal suono meccanico dei sintetizzatori – mai così in primo piano. Un continuo spaziare tra imperturbabile vuoto di ghiaccio e calore di ritmi metronomici, voci marziali e sferragliare sincopato. Oltre un’ora di musica in cui si manifestano vivamente le visioni di Lang, tra smarrimento post industriale, desolazione e tumulto sotterraneo. Un cammino che trova tratti di stasi, come in una specie di camera iperbarica, in cui il sound si appiattisce in soluzioni ipnotiche e meccaniche, a volte anche stranianti, ma che riesce sempre a trovare la via per raggiungere aperture panoramiche impreviste, di grande spessore e originalità. È tutto parte di uno stesso gioco di ricerca e di grande entusiasmo, sottilmente attento a non debordare nella pura rievocazione celebrativa del film, o peggio, nell’eccesso del voler prendere tutto troppo alla lettera e stupire ad ogni costo. La freschezza, il galleggiamento inquietante, le sferzate emotive contagiose, tutto è volto a costruire un nuovo impianto assai ben dosato. C’è un equilibrio saggio tra nostalgico e futuribile, alieno e familiare, semplice ed elaborato, squadrato e fantasioso, etereo e pulsante che riesce ad elevare i Cult Of Luna su uno stile finalmente definito, proprio e funzionale. Abbiamo prima accennato ai sintetizzatori e al lisergico lavoro di tastiere, ma non sottovalutiamo le lunghissime evoluzioni espanse delle due chitarre, mai avulse da una tonalità precisa, inesorabili nello scavare per minuti un tema, caricandolo di visionarietà, ma anche capaci di tessere eleganti e passionali arabeschi, dove la melodia si ritaglia uno spazio centrale. E, questa volta, non minimizziamo neppure l’apporto delle voci, sia sporche che pulite, che come mai prima d’ora si evolvono pian piano in sussulti e soprassalti espressivi. Tutto ciò che c’è da fare per penetrare in questo disco è dargli del tempo, lasciarsi andare e, al tempo stesso, lasciare che esso travolga la nostra giornata e le sue mille banalità. “Vertikal” è il risveglio migliore che i Cult Of Luna potessero regalarsi (e regalarci) dopo questi cinque anni di ibernazione: davvero un grande album, che probabilmente si confermerà tra i migliori di questo 2013.