8.0
- Band: CULTUS SANGUINE
- Durata: 00:55:29
- Disponibile dal: 01/09/2023
- Etichetta:
- BadMoodMan Music
Spotify:
Apple Music:
Un crinale sottile separa la continuità stilistica dalla pedissequa ripetizione di stilemi già noti e formule ben collaudate: i Cultus Sanguine rientrano nella prima categoria, forti di un ritorno discografico che ha quasi dell’incredibile.
Formazione seminale dell’underground più oscuro, con un sound a cavallo tra dark, doom e black metal, i musicisti lombardi hanno prodotto negli anni ‘90 alcuni lavori importanti per un certo ambito della musica estrema, diventando presto una band di culto fuori e dentro i confini nazionali; pensiamo allo split su cassetta con i Carpathian Forest e ai due full-length “Shadows’ Blood” e “The Sum Of All Fears”, poco dopo i quali il gruppo – che aveva subito qualche aggiustamento di line-up a cavallo dei due dischi – rallenta le proprie attività fino a uno stop di ben sedici anni, dal 2002 al 2017.
Oggi – dopo aver ristampato il vecchio materiale e ripreso le esibizioni dal vivo – possiamo finalmente ascoltare le prime incisioni di materiale inedito (fatte salve le anticipazioni in sede live) che i milanesi hanno composto da moltissimi anni: il risultato è sorprendente, perché sembra quasi che i ventiquattro anni che separano “The Sum Of All Fears” da questo “Dust Once Alive” non siano mai trascorsi. Sound, approccio compositivo e immaginario visivo sono quelli che conosciamo: la band è del resto la stessa dal finire degli anni ‘90 (con il bassista Luca Difato entrato ‘ufficialmente’ in formazione), capitanata dal leader e unico membro fondatore rimasto, Joe Ferghieph, voce istrionica ed inconfondibile.
Poche note acute e sghembe aprono “Facing Vulture Season”, brano piuttosto tirato che fuga immediatamente ogni possibile dubbio: i musicisti meneghini non solo restano ben lontani da qualsivoglia tendenza musicale odierna, ma hanno conservato un’incredibile freschezza compositiva, che permette loro di muoversi con classe tra i meandri di quel ‘dark sound’ che hanno contribuito ad innovare e costruire. Qui torniamo alla considerazione proposta in apertura, perché se è vero che atmosfere e melodie sono in linea con il materiale precedente, la scrittura è ispirata e le composizioni non cadono mai nel plateale ‘autoplagio’, temibile quanto insidioso quando si decide di non proporre cambiamenti sostanziali di suono.
E per la verità qualcosa di diverso c’è: l’intero disco ha una pesantezza prettamente doom, merito anche delle scelte fatte in sede di missaggio, con un basso scuro e roboante. Anche la chitarra ha un piglio che si rifà molto all’heavy-doom tradizionale (pensiamo alla title-track), spesso in perfetto accordo con le tastiere (vedi “Delusion Grandeur”).
Discorso leggermente diverso per l’ottima “An Uncried Funeral”, più ritmata e dark-oriented, nella quale l’organo fa sentire tutta la sua gotica e funerea potenza. Infine, pur non essendoci brani che girano a vuoto, sembra quasi che i Cultus Sanguine abbiano tenuto il meglio per il gran finale: segnaliamo infatti “Gli Uomini Vuoti” – unico brano cantato in italiano del lotto – un pezzo dal feeling molto intenso, con un testo interessante, e la conclusiva “Days Fall From Life”, che, sorretta da ottimi riff, ci sembra tra le canzoni più rappresentative di questo ritorno (e papabile brano da inserire nelle prossime scalette in sede di concerto).
Impossibile non soffermarsi ancora sulla prova del mastermind Joe Ferghieph dietro il microfono: interprete polimorfo delle diverse sfaccettature di suono della sua creatura, si divide con nonchalance tra cantato pulito e scream, con infinite sfumature che rendono unico il carattere dei Cultus Sanguine. Bentornati.