7.5
- Band: CYNIC
- Durata: 00:49:09
- Disponibile dal: 26/11/2021
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Affermare che gli ultimi anni siano stati difficoltosi per i Cynic è quantomeno eufemistico. Uno scioglimento, poi smentito, nel 2015, che aveva lasciato sul campo il doloroso addio del batterista Sean Reinert; quindi un preoccupante silenzio discografico, rotto soltanto dalla pubblicazione dei vecchi demo nel 2017; infine, nel 2020, le premature scomparse dello stesso Reinert e del bassista Sean Malone. Rimasto sul ponte di comando il solo Paul Masvidal, era difficile ipotizzare che i Cynic potessero avere un futuro. Invece, con un annuncio inaspettato, a metà settembre 2021 sulla pagina Facebook della band viene svelata la copertina del nuovo album. Un’immagine dal sapore algido e fantascientifico, evocativa di panorami sterminati e solitari, in una dimensione ben poco terrena – quanto d’altronde la band ha sempre perseguito dal rientro in attività di “Traced In Air” nel 2008, il cui successore, “Kindly Bent To Free Us”, sembrava allontanarli quasi definitivamente dal metal, ambito che del resto già andava stretto ai tempi del seminale e ancora oggi inavvicinabile “Focus”.
Il nuovo “Ascension Codes” non interrompe gli ardori sperimentali di Masvidal, né appare come un semplice revival di altri concetti già espressi in precedenza. Pur colpito nel cuore e nell’animo, il musicista statunitense ha ricompattato la line-up, inserendo al basso-synth e alle tastiere Dave Mackay e mantenendo alla batteria elettronica Matt Lynch, in formazione dal 2017. Il disco riprende un taglio heavy e una compattezza latitanti in “Kindly Bent To Free Us”, rimettendo in circolo quel pacato vigore che connetteva l’operato dei Cynic a forme di progressive metal moderno. Rimane l’approccio avvolgente e sognante, la capacità di intrecciare suoni siderali e avveniristici, trasportandoci in un universo sonoro dove spunti jazz, fusion, new age, synthwave sfociano gli uni negli altri, per dare forma a sonorità inconfondibili, riconducibili solo e soltanto ai Cynic medesimi. Ci troviamo in un ecosistema pacificato, meditativo, nel quale abbandonarsi per trovare conforto e conciliazione. La divisione tra brevi interludi e canzoni vere e proprie crea di fatto un continuum senza cesure o cambi di atmosfera repentini, così che chi voglia fruire l’album nella sua interezza sia invitato e facilitato a farlo, praticamente scordandosi dopo pochi minuti del passaggio da una traccia all’altra. Le delicate voci robotiche di Masvidal non hanno perso il loro magico magnetismo, né hanno azzardato – giustamente – a mettersi più in primo piano del solito; stanno sempre lì, in mezzo agli strumenti, parche nel manifestarsi, lievi nel tono e nella frequenza degli interventi. Largo spazio allora alle evoluzioni strumentali, dove ci par giusto sottolineare un uso dei synth molto fantasioso e raffinato, di ampie prospettive e mai statico.
I suoni levigati e ovattati paiono azzeccati alla dimensione raccolta della musica, le variazioni ritmiche e gli ispessimenti delle chitarre non rompono l’idillio, dando comunque brillantezza e fluidità all’insieme. A confronto di “Kindly Bent To Free Us”, “Ascension Codes” si specchia meno nell’incanto e si appoggia con maggior convinzione alle ritmiche di chitarra, guadagnando in impatto e immediatezza. L’impronta spaziale, delineata in una fuga verso suoni effettati, evocativi di una profonda e rasserenata solitudine, pare ancora più marcata che in passato e si traduce pure in transizioni verso sonorità liquide e intangibili. Proprio su questo fronte si segnala qualche lungaggine, la ricercatezza di atmosfere sofisticate si scontra a tratti con poca sintesi e un pizzico di incompiutezza. Difetti non così importanti se vogliamo, pur togliendo a nostro avviso qualcosa al valore di un album suggestivo, profondo, ammirevole anche soltanto per la voglia di rimettersi in gioco di Masvidal e la volontà di ridare slancio al nome del gruppo. Chi è particolarmente affezionato all’ultima fase di carriera dei Cynic potrà probabilmente alzare di mezzo punto la valutazione finale, sicuro di godersi un album all’altezza dei gloriosi trascorsi.