7.0
- Band: DAGOBA
- Durata: 00:50:53
- Disponibile dal: 27/05/2013
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
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I francesi Dagoba, inutile negarlo, non hanno ancora dato seguito alle entusiasmanti prospettive apertesi per loro all’epoca della pubblicazione dell’ottimo “What Hell Is About” – ormai risalente al lontano 2006! – né sono più riusciti a doppiarne gli incredibili connotati, ritorcendosi un po’ alla volta su se stessi in un immobilismo sonoro forse troppo marcato che, con l’andar del tempo, sta portando la band del vocalist Shawter in una sorta di punto cieco indefinibile. “Face The Colossus” prima e “Poseidon” dopo non si sono rivelati dei brutti lavori, ma entrambi, soprattutto il secondo dei due, sono passati oltre senza troppi colpi ferire, non ottenendo il riscontro di fama internazionale che il quartetto marsigliese avrebbe potuto ottenere, magari sulla scia imperiosa dei connazionali Gojira. Forse perché costantemente indecisi sul da farsi, se aumentare le dosi di accessibilità della proposta oppure renderla completamente brutale e iconoclasta, i Dagoba pare abbiano perso degli anni preziosi per crescere nel miglior modo. Oggi se ne ritornano belli freschi, finalmente, con un disco nuovo e un chitarrista nuovo; “Post Mortem Nihil Est” il titolo del primo, Yves ‘Z’ Terzibachian il nome del secondo: ebbene, diciamo pure che la solfa non è cambiata di molto da quanto spiegato qui sopra, in quanto anche il nuovo platter si assesta su discreti/buoni livelli senza però far gridare al miracolo e senza rinverdire nessun fasto passato. Il death-black metal industriale della band si contamina volentieri con ritmiche metal-core e chorus tendenti all’hard-rock, per uno stile ancora una volta bombastico e avvolgente, che però non convince pienamente oppure lo fa solo a tratti. Il groove poderoso scandito dal drummer Franky Costanza resta il motore primario della macchina Dagoba, che non sempre trova nei ritornelli puliti la chiave d’accesso all’animo dell’ascoltatore, in quanto non sempre sono piacevoli – in merito, basti verificare la poca incisività di quello dell’opener di “Post Mortem Nihil Est”, “When Winter…”. Noi preferiamo i ragazzi quando pestano a sangue sugli strumenti e quando Shawter lascia da parte il pulito per dedicarsi al meglio riuscito e decisamente convincente screaming/growl. Alla fine il riffing è più che accettabile e gli arrangiamenti – composti anche da tastiere, archi e orchestrazioni campionati – sono spesso interessantissimi, quindi non si può certo scrivere che i Dagoba non sappiano proporre valide canzoni. Permane l’approccio al groove e al mosh di stampo hardcore/industrial, ma ormai produrre un ibrido che sta tra Killswitch Engage, Machine Head, Dimmu Borgir e Naglfar fa più confusione che stupore. A favore dei Nostri possiamo dire che, partendo dalle alte aspettative quali erano, stanno comunque riuscendo a sfornare un buon numero di album senza grossi cali di tono. Gli episodi maggiormente convincenti della tracklist ci risultano “Yes, We Die”, “Oblivion Is For The Living” e “By The Sword”, che chiude con violenza un album che non contiene filler di sorta e che va promosso d’obbligo per l’ottimo schieramento di forze portato in campo, fra le prime la solita produzione assassina, questa volta opera dell’ex-chitarrista dei Machine Head Logan Mader. La qualità raggiunge l’eccellenza poche volte, in questo “Post Mortem Nihil Est”, ma tutto sommato l’album è utile per riportare in vista il nome dei Dagoba, sperando che riescano in futuro a partorire qualcosa di più imponente di un ‘semplice’ lavoro da sette pieno. Band in stallo, ma da seguire, per ora, ancora con fiducia.