7.5
- Band: DAGOBA
- Durata: 00:40:32
- Disponibile dal: 10/07/2015
- Etichetta:
- earMusic
- Distributore: Edel
Spotify:
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Tornano imperterriti in pista i francesi Dagoba, formazione che, almeno fino ad oggi, pareva un po’ in fase involutiva, bloccata e castrata dal suo continuo riproporre una formula vincente che, nel corso degli anni e dei lavori, andava vieppiù appannandosi e sbiadendo. Il primo, omonimo disco passò praticamente inosservato presso la comunità metallica tutta, permettendo a Shawter e compari di fare il botto con il seguente e monumentale “What Hell Is About”, ormai targato 2006. Poi – diciamolo pure tranquillamente – iniziò il lento declino, sebbene mai mostrato attraverso pesanti cadute di tono musicale, ma solo tramite dischi-compitino e dalla ispirazione sempre scemante: “Face The Colossus”, “Poseidon” e “Post-Mortem Nihil Est”, nonostante le soavi clavate industrial death-black (ma aggiungeteci pure i termini ‘thrash’ e ‘core’) ivi contenute, non riuscirono infatti a rifarci gridare al miracolo come successe con l’esordio. E ora, giunti al sesto capitolo sulla lunga distanza della loro discografia, intitolato “Tales Of The Black Dawn” e si suppone, vista anche la vampirica cover e i titoli dei brani, incentrato liricamente su una storia a sfondo draculeo, i Dagoba rialzano parzialmente la testa, sfornando un pacchetto di canzoni assolutamente catchy, terremotante e che fa presa immediata sul fruitore di turno; quest’ultimo, un aspetto da non sottovalutare alla luce di quanto composto nei dischi precedenti. Ad esclusione dell’intro “Epilogue”, che inaugura il platter con l’arrivo del crepuscolo e il canto delle cicale, tutte le altre tracce di “Tales Of The Black Dawn” presentano un groove ed un tiro spaventosi. Accorpate maggiori influenze thrashy e metal-core, a discapito di quella parvenza blackish andata un po’ a farsi benedire, la band marsigliese si è lanciata nella composizione di veri e propri anthem live, a tratti rischiando di sforare in territori tanto cari a svariate decine di gruppi: il riffing è poderoso e spaccasassi ma molto inflazionato e la presenza al mix dell’ex-Machine Head Logan Mader puzza parecchio. Machine Head, Soulfly, Chimaira, Lamb Of God, Killswitch Engage…sono solo alcuni dei nomi che vengono alla mente ascoltando questo lavoro, che viaggia bene sulle proprie gambe grazie alla voce di Shawter, ormai piuttosto riconoscibile, e grazie agli azzeccati arrangiamenti elettronici/industrial che caratterizzano la musica dei Dagoba fin dagli albori, ma che dà anche l’impressione di essere stato scritto con mestiere e idee fin troppo chiare sul dove andare a parare: non che ciò sia un atteggiamento da condannare, a dire il vero; la tracklist è godibilissima, ma non è un caso che i pezzi in cui si sentono i ritornelli epici in voce pulita tipici dei Nostri (l’ottima “The Sunset Curse”, “Morning Light”, “The Dawn” e la più romantica “The Loss”) sono i preferiti di chi scrive. Insomma, un disco più che discreto che può rilanciare i Dagoba alla grande dopo qualche anno di mestizia. Una bella mazzata per chi negli ultimi anni non ha ricercato chissà quali sensazioni nel metal, ma esclusivamente adrenalina, modernità e calcinculo.