7.0
- Band: DANISHMENDT
- Durata: 01:00:00
- Disponibile dal: 15/09/2010
- Etichetta:
- Cold Void Emanations
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Disco alquanto curioso, questo. Black metal suonato con le ritmiche del doom e le intemperanze del punk e del noise. Il veloce per eccellenza che diventa il lento per eccellenza senza perderci la faccia. Sembra una missione ardua, ma il disco che abbiamo tra le mani sembra averla compiuta alla perfezione poiché effettivamente non stiamo parlando della fusione "black-doom" – che è un’altra faccenda – ma piuttosto di una improbabile simbiosi fra le due cose che risulta alquanto innominabile. Chi ha apprezzato il geniale e contorto "Till Makabert Vasen" dei Bergraven, troverà la felicità anche ascoltando questo "Un Passé Aride" dei francesi Danishmendt, poiché in effetti seguendo lo stesso approccio di Par Gustaffson – quello di prendere il black metal per piegarlo ad insolite necessità post-punk e "blues" – la band francese riesce benissimo a forgiare un metal putrido e nero che usa il black metal solo come biglietto da visita, mentre addentrandoci nell’ascolto scopriamo invece, traccia dopo traccia, che è in atto una bastardizzazione totale di generi e di influenze diverse, che anziché farsi la guerra e amazzarsi a vicenda si alleano nel creare un esercito coeso di sonorità luride e ripugnanti, unite da un solo scopo comune: quello di rendere reale – sotto forma di suono – il concetto di "schifo". Le canzoni dei Danishmendt infatti vomitano melma e sporcizia da ogni orifizio possibile, trascinate da repentini spasmi black metal che vengono incrostati e zavorrati da melmosi rallentamenti sludge-doom, sfuriate crust-core e deraglianti passaggi noise-rock, post-punk e dark-wave. Per tutta la durata dell’album sembra di assistere ad un’orgia disgustosa tra i Killing Joke, i Darkthronre (anche gli utlimi più punkeggianti), gli Swans, i Melvins, e gli His Hero Is Gone. Insomma, una fogna di sonorità molto eterogenee che però dentro di sé hanno in comune un filo conduttore ben preciso: quello della dissonanza apocalittica e della eviscerazione continua di sonorità assolutamente "fastidiose". Filo che poi i Danishmendt hanno arrotolato in un gomitolo proprio ed utilizzato poi per tessere l’abominevole trama della loro musica. Nonostante la "bruttezza" diffusa e dilagante, c’è da dire comunque che questo incrostato abominio creato dalla band translapina risulta parecchio godibile. Le canzoni infatti risultano epiche, oscure e selvagge nel loro cambiare continuamente forma e colore, e stranianti nella loro capacità di passare con disinvoltura da un umore (negativo) all’altro. Album affascinante e magnetico quindi, che trova il suo punto di forza nell’essere riuscito a distillare la più pura essenza negativa e primordiale di generi diversi, per farne una formula propria e personale. Disco molto particolare, che merita l’ascolto da parte di orecchie allenate ed esigenti. Fatevi sotto.