6.0
- Band: DANZIG
- Durata: 00:51:59
- Disponibile dal: 21/06/2010
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Glenn Danzig è una leggenda vivente e questa sede è la meno opportuna per tirare le somme di un lunghissima e gloriosa carriera, ma ci limiteremo a commentare il ritorno con il suo ormai famoso gruppo omonimo: i Danzig. Sono passati sei lunghissimi anni dalla pubblicazione del monotono e deludente “Circles Of Snakes”, e ora Glenn e la sua band ritornano con un disco classico, ma un po’ più convincente. Ormai sono passati vent’anni dai gloriosi esordi e i primi due album dei Danzig rimaranno ineguagliabili per sempre, nessuno vuole chiedere simili imprese impossibili al non più giovanissimo Glenn e così “Deth Red Sabaoth” è il classico album che può far felice il fan più incallito che vuole sempre e comunque vedere il proprio beniamino cavalcare la cresta dell’onda con nuove release. La produzione stavolta non è saturissima come l’album precedente, ma più scarna e ovattata; non è di certo una produzione perfetta eppure il sound è profondo ed il risultato finale è comunque gradevole. I brani pregevoli di questa release li troverete nei due pezzi che aprono e chiudono l’labum perché sono dotati di un buon riffing, un Danzig in buona forma ed un groove ancora trascinante. Lo stile ovviamente è inossidabile e non cambierà mai nemmeno in futuro, e tutti i brani di questa release aderiscono pienamente al tipico trademark del gruppo. Forse “Pyre of Souls: Seasons of Pain” è un po’ troppo intimista e contorta rispetto ad altri brani (come “On A Wicked Night” che riesce a trascinare grazie ai suoi influssi rock). Altri brani risentono della tradizione hard rock statunitense, ma quello che davvero sorprende è sentire nuovamente Danzing con la sua caratteristica voce, che si era smarrita in modo preoccupante sull’album di sei anni fa. Evidentemente la pausa ha fatto bene a Glenn per riprendere fiato nel vero senso della parola. “The Revengeful” o “Black Candy” sono brani discreti che però hanno la pecca di riproporre in pratica un unico riff per l’intero arco della canzone. Se l’album difetta in modo evidente in qualcosa allora stavolta non bisogna imputare il caro vecchio Glenn, ma gli altri membri della band che non si sono troppo sprecati nel trovare un riffing dinamico e variegato. Bella la copertina del CD in pieno stile ’70 che ricorda inequivocabilmente e volutamente il mitico passato della leggenda Misfits. Un disco onorevole, che però non aggiunge assolutamente niente in una carriera difficilmente ripetibile nel mondo punk e metal.