6.5
- Band: DARGAARD
- Durata: 00:56:22
- Disponibile dal: 22/03/2004
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Ormai siamo alla quarta uscita per gli austriaci Dargaard, duo misterioso e velato che va in giro sin dal 1998 a sfornare dischi interessanti, rilassanti. Tharen è la mente del gruppo e scrive tutta la musica, mentre a Elisabeth è affidato il compito di dare un tocco soave alle composizioni per metà medievali e metà orchestrali del suo compagno di ventura. Il debut “Eternity Rites” aveva attratto più di qualche curioso per quella musica che sa di antica danza macabra, per quel tocco ambient sempre arricchito da altri elementi interessanti, per quella teatralità nascosta dalle gestualità apocalittiche. La band non ha spostato poi molto il suo target in questi anni ed è un peccato perché ormai il suo segreto è stato svelato: un misto decadente che ammicca al gothic, al folk apocalittico, all’ambient, alla musica moderatamente medievale. Si potrebbero chiamare in causa i bravi Arcana e non si sbaglierebbe di molto il paragone. Ultimamente la ricerca di una musica che possa sembrare una colonna sonora non fa dormire molte band e i Dargaard non vengono risparmiati dalle notti in bianco: a momenti il gruppo è in grado di creare momenti suggestivi e di dipingere con la musica scenari notturni, ricchi di personaggi mascherati e avvolti dai mantelli che si aggirano nelle calli poco luminose veneziane, aiutati dalla nebbia ad abbandonare la scena del delitto. Ci sono però anche i passaggi più rilassanti e sembra quasi poter scorgere la nascita della primavera. Tutto bene, quindi? No, quasi. La prolissità è spesso cattiva amica e penalizza molto il lavoro della band: le canzoni si ripetono un po’ troppo, si ostinano a giocare attorno ad una buona idee senza sforzarsi di svilupparla. A volte sembrano i Dismal italiani e si perdono in melodie difficili da seguire. Molti sono i minuti di questo cd che non riescono a regalare emozioni, ritratti, odori, colori, e non perché la musica sia brutta o mal suonata, ma perché alcune parti sono già state sfruttate in passato e sembrano ricordare costantemente qualcosa di passato, senza donare alcunché di nuovo. Anche la bella “Bearer Of The Flame” è una bella canzone, ma suona come un déjà-vu. Tutto l’album è qualcosa di già visto, già sentito, il riflesso distorto dell’ombra dei Dargaard che si diverte a rincorrerci in questo gioco di specchi. Sprecati.