4.0
- Band: DARK AGE
- Durata: 00:42:03
- Disponibile dal: 06/09/2013
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
“Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto” recitava il dialogo di un noto film. Allo stesso modo, una band dovrebbe capire quando è ora di lasciar perdere. Sono lontanissimi gli esordi melodic death dei Dark Age ed è ormai un pallido ricordo ciò che avevano fatto di buono con i primi tre dischi ed, in effetti, sono anche passati dodici anni; un lasso di tempi in cui la band le ha provate un po’ tutte per restare sulla breccia, fino a questa sorta di electro-pop-metal che ricorda il peggio di band come Amaranthe. Immaginate il classico innesto dei pezzi pop, con qualche strizzata d’occhio all’alternative, una dose massiccia di elettronica ed una voce che passa dal gothic al pop passando per il nu metal: uno strazio. Per le prime quattro canzoni, si ha l’impressione che la chitarra non cambi mai riff, mentre la tastiera “guida” la sezione melodica ed il povero batterista cerca di destreggiarsi tra questo marasma ed un cantante che alterna uno stile alla Chris Martin ed uno alla Marilyn Manson (senza nulla voler togliere ai Coldplay ed alla band del reverendo Manson). E’ su “Fight!” che il disco dà il suo meglio (o il suo peggio, dipende dal punto di vista), così quando un iper-effettato Eike Freese urla “fuck you”, non possiamo che trovarci d’accordo. L’agonia si protrae nell’imbarazzante “My Saviour”, monotona e lagnosa. Inutile infierire: “A Matter Of Trust” non cambia tenore ed i pezzi si rivelano piatti ed uguali tra loro. Menzione di (dis)onore alla conclusiva “Onwards!”, perché – ovviamente – non poteva mancare una ballad a questo scempio. Può capitare che avendo esordito nel 1996 come band death metal, si possa sentire il desiderio di evolvere il proprio sound, legittimo credere di averne le capacità dopo un paio di dischi decisamente sopra la media (il vecchio “Insurrection” è un ottimo album melo-death); purtroppo non tutti sono gli Amorphis o gli Opeth. I Dark Age dovrebbero, probabilmente, accettare che hanno dato quanto avevano da dare e che ciò che ora hanno da offrire è di qualità a stento mediocre. Forse l’unica speranza della band è abbandonare definitivamente il metal e dedicarsi totalmente al genere che sembra prediligere; difficilmente riuscirà a vendere in un contesto che dovrebbe ricordarla per un buon disco del 2000 e poco altro. Un nuovo mercato, invece, potrebbe trovare alla band una collocazione: a volte le scelte drastiche e coraggiose pagano, auguriamo di cuore ai Dark Age che possa essere così anche per loro.