DARK ANGEL – Time Does Not Heal

Pubblicato il 11/07/2014 da
voto
9.0
  • Band: DARK ANGEL
  • Durata: 01:07:08
  • Disponibile dal: 19/02/1991
  • Etichetta:
  • Combat Records
Streaming non ancora disponibile

Quando “Time Does Not Heal” approdò nei negozi, in quell’ormai lontano 19 febbraio 1991, un adesivo capeggiava sulla copertina e recitava pressappoco così: “9 songs, 67 minutes, 246 riffs!”. Una scritta che pare più un monito, un avvertimento nei confronti dell’ignaro ascoltatore che si trovava tra le mani la suddetta opera, un avviso di non aspettarsi qualcosa di leggero. Questo dei Dark Angel è il quarto ed ultimo disco e alla sua uscita, forse anche ‘a causa’ di un massiccio quantitativo di ottimi altri album di metal estremo usciti in quell’annata di grazia, venne accolto in maniera abbastanza tiepida da critica e pubblico, rimanendo per anni uno dei lavori più sottovalutati della storia del nostro genere preferito, il metal. Nell’ultimo periodo, fortunatamente, abbiamo assistito ad una riscoperta sia di questo lavoro da parte degli appassionati, che della band in generale, e infatti non a caso recentemente vi è stata anche una reunion che è stata impegnata in alcuni concerti sparsi per il globo, reunion giunta ad allietare vecchie e nuove generazioni di headbangers. In verità, “Time Does Not Heal” tutt’oggi viene ancora criticato, specie dai fan della prima ora del gruppo, a causa dell’articolatezza dei brani, della loro complessità e, in sostanza, della loro mancanza di immediatezza, che li fece divenire un gruppo praticamente progressive, attento soltanto alle finezze e non a suonare del buon caro vecchio thrash metal. Tuttavia, anche prendendo in considerazione i precedenti lavori del gruppo, troppo spesso parlando di thrash metal, o progressive thrash metal, se lo preferite, si è portati a considerare sempre i soliti grandi nomi noti (Metallica, Slayer, Sepultura, Sodom, ecc.), ma ci sono gruppi che per troppo tempo sono stati dimenticati, accantonati, ignorati o sottovalutati, e i Dark Angel sono sicuramente tra questi (ma sono in buona compagnia, basti pensare ai Coroner, giusto per fare un esempio). Dietro alle pelli e nella sublime opera di songwriting troviamo un certo Gene Hoglan – che successivamente sarebbe andato a suonare ‘soltanto’ nei Death – che, insieme al chitarrista Eric Meyer, è stato sempre il punto fermo di questa formazione. Le canzoni che compongono il puzzle di “Time Does Not Heal” sono un mirabolante intreccio di tecnica e capacità compositiva assolutamente fuori dal comune. Non crediamo che si tratti di un caso se spesso e volentieri chi si approccia per le prime volte a questo disco ne esce confuso, quasi stordito e con un senso di pesantezza latente. Questo avviene poiché, appunto, la complessità dei brani e la lunghezza degli stessi può essere stremante per un orecchio poco allenato a certe sonorità. Da questo si evince che l’approccio a “Time Does Not Heal” non deve essere quello di chi si aspetta una risposta a un “Master Of Puppets”, bensì ci si deve attendere una concezione completamente differente, molto più introversa e introspettiva, cupa e monolitica. Già, perché l’accessibilità e l’immediatezza non sono nemmeno passati a fare un saluto veloce; ciò nonostante, una volta che si riesce ad individuare la giusta chiave di lettura del disco, non si può far altro che restarne completamente stregati e, non ultimo, divenirne dipendenti. Quello che più ci entusiasma di questo lavoro è proprio la sua terribile urgenza, il suo essere un indistruttibile colosso di cattiveria, un unico urlo che squarcia il silenzio della notte rompendo i sonni e le corde vocali, una terribile e letale scarica elettrica, una pericolosa e lunghissima apnea, al termine della quale avrete bisogno di riemergere e respirare profondamente per qualche momento. Ciò che ci rende così entusiasti quando parliamo di questo disco, è altresì la mancanza di momenti di sosta: le tipiche ripartenze del thrash, inteso come lo ascoltano i fruitori più occasionali, qui vengono quasi nascoste, e soltanto dopo diversi ascolti attenti e concentrati se ne potranno percepire la furia bieca e la potenzialità distruttiva. L’ascoltatore viene completamente assalito, avvolto e imbrigliato in una ragnatela impenetrabile di riff frenetici e martellanti, con ritmiche e finezze batteristiche che si susseguono con una disinvoltura disarmante; la velenosa e a tratti persino ripetitiva voce di Ron Rinehart contribuisce a dare una sensazione di disumanità, di disagio e, non da ultimo, ci porta alla mente l’urlo di un motore mentre il piede schiaccia costantemente a tavoletta sull’acceleratore. E gli assoli? Tutti conosciamo il ruolo predominante che i guitar hero hanno da sempre nelle thrash metal band, ma non è questo il caso. In “Time Does Not Heal” gli assoli sono ben pochi e quei pochi sono sempre corti e poco articolati, aventi il solo obiettivo di rendere ancor più frenetico, se mai ce ne fosse la reale necessità, il brano. Analizzando nel complesso il lotto di canzoni, infine, non si può e non si deve tralasciare il discorso testi, molto impegnati e particolari che, oltre a trattare tematiche riguardanti la società moderna, vanno ad esaminare un argomento scomodo e odioso come quello dello stupro femminile, visto questa volta dal punto di vista di una donna (sia nel brano “An Ancient Inherited Shame”, che nella copertina raffigurante una ragazza in primo piano impaurita e in un vicolo buio, seguita da vari uomini minacciosi). Traendo le necessarie conclusioni, chi scrive ritiene che “Time Does Not Heal” sia uno degli album più rappresentativi di un certo modo di intendere il thrash metal, che non necessariamente è quello che conoscono tutti. Crediamo inoltre che sia uno dei punti più alti del metal in generale ed il perfetto connubio tra violenza efferata e tecnica sopraffina, tramite il suo mettere in risalto la capacità di scrivere ottima musica di una compagine di strumentisti strabilianti che per tanto, troppo tempo, sono stati ingiustamente ignorati da una buona fetta di pubblico. Un album per pochi? Forse sì, ma di sicuro un disco incredibile.

TRACKLIST

  1. Time Does Not Heal
  2. Pain's Invention, Madness
  3. Act Of Contrition
  4. The New Priesthood
  5. Psychosexuality
  6. An Ancient Inherited Shame
  7. Trauma And Catharsis
  8. Sensory Deprivation
  9. A Subtle Induction
16 commenti
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