6.5
- Band: DARK AVENGER
- Durata: 00:57:52
- Disponibile dal: 01/09/2017
- Etichetta:
- Rockshots
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In campo progressive metal non è raro imbattersi in progetti dove si parla delle emozioni umane e dei rapporti interpersonali, come insegna “Metropolis Part. II”. Ed è questo il caso di ” The Beloved Bones: Hell”, primo disco di una saga che i Dark Avenger, gruppo brasiliano, dedica proprio all’esplorazione di diverse emozioni come la tristezza, la disperazione e l’autocommiserazione. Per farlo, il nostro quintetto si avvale di un prog/heavy di chiarissima matrice Savatage, con qualche occhiolino ai primissimi Fair Warning. Elemento che dialoga infatti con la parte metallica sono tastiere e orchestrazioni, che i nostri inseriscono più come contorno che per piatto forte dell’album. Non mancano pure alcuni richiami al death melodico come in “Parasite” e “Breaking Up Again”, che mostrano pure un growl e delle ritmiche che rimandano palesemente al genere sopracitato. A livello strumentale c’è veramente poco da dire sulla preparazione delle persone che suonano su questo disco: la band spegne quest’anno ventiquattro candeline sulla propria torta di compleanno e l’affiatamento del cuore storico della formazione si sente tantissimo. I nostri sono infatti reduci da un cambio di line-up che li ha visti tirare in barca l’ottimo Anderson Soares alla batteria (forse il membro più preparato del gruppo che ha permesso alle composizioni dell’album un tocco in più rispetto alle precedenti prove discografiche) Vinicius Sodré Maluly alle tastiere e soprattutto Glauber Oliveira alla chitarra. Il lavoro di quest’ultimo con Hugo Santiago si dimostra infatti raffinatissimo, mettendo in luce due chitarristi capaci di passare da un genere all’altro senza farsi troppi problemi: specialmente in “Breaking Up Again” il lavoro dei musicisti passa tranquillamente dal power al djent con collegamenti che non stonano per nulla nell’economia del brano. Per il resto il disco è tranquillamente ascrivibile alle influenze che abbiamo citato prima: se non vi piace il prog standardizzato di oggi, “The Beloved Bones” rappresenta un salto nel passato molto interessante che potrà stupirvi in più punti. Specialmente la coppia “Nihil Mind” e “Purple Letter”, ultime canzoni distorte prima delle finali acustiche, lascia una buonissima impressione del lavoro dei brasiliani, dimostrandoci una vera e propria raffinatezza nel risultare progressivi pur avendo una base tendente all’heavy/power. La voce al vetriolo di Mario Linhares rappresenta sicuramente una delle cose più interessanti del disco, con occhiolini continui al ‘Metal God’ Rob Halford e a Jon Oliva, dimostrando in questi due pezzi una preparazione di tutto rispetto che passa da scream a pulito repentinamente. Ciò nonostante, “The Beloved Bones: Hell” soffre di un sostanziale problema: la varietà dei brani, che alla lunga tendono pericolosamente a ripetersi l’un l’altro. Pensiamo che probabilmente seguire attentamente il concept del disco possa far guadagnare molti più punti rispetto ad un ascolto disinteressato, visto che alcuni passaggi anche musicali vanno sentiti con molta attenzione prima di poter essere assimilati. L’album è salvato in parte dal mastering di Tony Lindgren (già al lavoro con Angra, Dragonforce, Kreator, Myrath e altri grossissimi nomi) e finisce per risultare come al solito un discreto prodotto che viene da un paese prolifico come il Brasile. Insomma,