6.5
- Band: DARK DISCIPLE
- Durata: 00:28:49
- Disponibile dal: 26/05/2004
- Etichetta:
- Morbid Records
- Distributore: Masterpiece
Spotify:
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Davvero interessante, questo primo lavoro degli statunitensi Dark Disciple: la band si forma nel 1999 a Baltimora, ha due demo all’attivo (la loro seconda prova d’esordio del 2002 è un ottimo lavoro, arrivato addirittura nella Top50 Mp3 Chart in rete, che li ha portati a firmare il contratto con la sempre attivissima Morbid Records) e il 2004 è l’anno del loro debutto “Unholy Hate Gore”. Già dal titolo dell’album si può intuire che i cinque propongono un death/brutal distampo assolutamente americano, facilmente accostabile ai primi lavori dei Dying Fetus. Pur essendo il lavoro molto valido sotto la maggior parte degli aspetti (songwriting, esecuzione, produzione, missaggio), il difetto più grande dei Dark Disciple si ravvisa nella mancanza di originalità ma, se da una parte non è proprio un pregio essere così poco personali, dall’altra bisogna riconoscere che è veramente un piacere poter ascoltare una band che si presenta sul mercato discografico con 30 minuti di ottimo brutal, senza alcuna sorta di sperimentazioni e/o melodie: solo dolorosissimi riff, cambi di tempo continui (pur viaggiando quasi sempre su velocitàper niente elevate rispetto ad altri gruppi del genere), growl e scream diabolici, à la Dying Fetus appunto, e quant’altro si possa desiderare da un dischetto del genere. Non abbiamo avuto la “fortuna” di poter leggere nel cd promozionale i testi dell’album, ma dai titoli risulta abbastanza chiaro che si tratti di testi a sfondo gore/satanico… titoli come “Serving The Priest”, “Jesus Loves You” (l’intro reverse del disco), “Welcome to Purgatory” parlano chiaro, e la frase “We’re turning and twisting the knife deep inside the heart of Christ!” che accoglie i visitatori all’ingresso del sito ufficiale è sicuramente esplicativa dell’attitudine della band. Tra i dieci pezzi che compongono l’album si distinguono la molto varia “Annihilation For The Living”, la violentissima “666 Stab Sounds” e la finale title-track: queste tre song sono quelle che soffrono un po’ meno marcatamente dell’impersonalità che permea i solchi digitali dell’album; le restanti tracce, a parte forse un paio dipezzi abbastanza trascurabili, si mantengono comunque su livelli di ampia sufficienza. Il mezzo voto in più è per il merito d’aver offerto un prodotto, in ogni caso, un pizzico al di sopra del calderone di album che – dopo mezzo ascolto – finiscono direttamente nell’immenso dimenticatoio del brutal… chi scrive comunque li attende alla prova del nove con il secondo lavoro in studio. Assolutamente consigliato ai divoratori di dischi brutal… a tutti gli altri che preferiscono ascoltare meno dischi di questo tipo preferendo standard qualitativi più alti, non possiamo far altro che consigliare quel gioiellino dell’ultimo album dei Suffocation.