7.0
- Band: DARK MOOR
- Durata: 00:50:33
- Disponibile dal: 24/11/2010
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Quando si parla dei Dark Moor è oramai possibile fare riferimento a tre fasi distinte, cosa peraltro già degna di nota, considerato che la band è in attività solo da una decina di anni. Una prima fase iniziata nel 2000 con l’album “Hall Of The Olden Dream”, caratterizzata da una proposta nettamente power che cavalcava gli stilemi di un genere che in quegli anni aveva il suo massimo splendore. Una seconda parte iniziata con lo split di buona parte della band e l’allontanamento della brava Elisa Martin, caratterizzata da uscite che mantenevano inalterate la direzione da tempo presa dalla band ma che cominciavano a mostrarsi fiacche e già sentite; e infine una terza fase, contemporanea alla pubblicazione di “Autumnal”, che presenta ai fan finalmente quella svolta nel sound che da tempo ci si aspettava, fornendo alla scena power sinfonico una band compatta, certa delle proprie capacità e dei propri mezzi, padrona finalmente di una proposta solida, interessante e soprattutto non derivativa. Date le premesse era logico aspettarsi una conferma da questo nuovo “Ancestral Romance”, conferma che ci arriva senza nessun dubbio con un altro album ben riuscito, che, a parte alcuni episodi meno riusciti, ci offre quasi un’ora di musica potente, barocca e ottimamente suonata. Una corta intro con melodie di altri tempi ci introduce a “Gadir”, song piacevole che si assesta su ritmi veloci ma non forsennati e che mostra il lato maggiormente barocco dei Dark Moor, facendo capire che gli inserti goticheggianti di “Autumnal” non sono stati solo un episodio isolato ma rappresentano lo stato attuale della band. Maggiormente melodica è la successiva “Love From The Stone”, dove una lirica voce femminile impreziosisce una canzone che fa del bel chorus la sua arma migliore. Simile agli esordi si mostra la bella “Alaric de Marnac”, tra i momenti migliori dell’album, con i suoi ritmi velocissimi e le soluzioni tastieristiche che ricordano veramente da vicino il metal sinfonico di Turilli & Co. “Mio Cid” scorre tranquilla grazie ad un ritornello ancora una volta orecchiabile e carino, ma risulta più debole rispetto ai primi pezzi. Faremmo invece meglio a dimenticare completamente “Just Rock”, un pezzo davvero insulso e stupido, al punto che viene da chiedersi se davvero l’abbiano composto loro: un tentativo di introdurre elementi sinfonici e lirici su un testo e una base a malapena degni del peggior gruppo hard rock di emuli degli AC/DC… inascoltabile. Per fortuna “Tilt at Windmill” riporta l’album su livelli più che buoni, presentandosi con un’apertura melodica che fa pensare ad una ballad per poi evolvere in un pezzo sempre più veloce e dinamico, e facendoci dimenticare del brutto scivolone di prima. La “Cancion del Pirata” ci ricorda, per la lingua spagnola in cui è scritta, alcuni momenti degli ultimi album degli Avalanch, ma il pezzo risulta solo carino, senza far gridare al miracolo. Archiviato lo strumentale “Ritual Fire Dance”, che non aggiunge niente a quanto già non si sapesse sulla bravura tecnica del chitarrista Garcia anche se si fa lo stesso apprezzare per alcune interessanti melodie spagnoleggianti, rimangono le finali “Ah! Wretched Me”, un altro pezzo veloce ma privo della ricercatezza che contraddistingue i pezzi migliori, e ‘Music In My Soul”, degna conclusione di un album vario e con molte scelte vincenti. Ormai la strada per i Dark Moor sembra essere quella giusta, e speriamo che la percorrano ancora a lungo.