8.5
- Band: DARK TRANQUILLITY
- Durata: 00:47:22
- Disponibile dal: 30/08/1993
- Etichetta:
- Spinefarm
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Da una parte “The Gallery”, dall’altra “The Jester Race”. Di qui abbiamo “The Mind’s I”, di là “Whoracle”. In attesa del nuovo millennio in arrivo, sul finire degli anni Novanta Dark Tranquillity e In Flames si sfidavano amabilmente per decidere chi sfornasse il disco migliore. Inutile nascondersi: quattro album, uno più bello dell’altro. La domanda che iniziava allora a sorgere tra gli appassionati, anche solo per mera curiosità, era la seguente: chissà cosa avrebbero potuto produrre queste due band se avessero unito le loro forze? Già, bella domanda. Un dubbio che, in realtà, aveva già avuto una sua prima risposta qualche anno addietro; una risposta più che soddisfacente, che avrebbe dato un colpo decisivo alla successiva struttura di entrambi i gruppi scandinavi.
Facciamo quindi un salto nel tempo fino al 1993; località Göteborg, Svezia. Le note malinconicamente gioviali, melodicamente morenti stavano mettendo le radici in quel terreno sonoro dal quale sarebbe sorto un diverso modo di fare death metal. Il seminale Gothenburg sound: quel mix maledettamente armonioso, esplosione di rabbia onirica, che avrebbe chiamato a sé più di un adepto, divenendo così, a tutti gli effetti, uno dei generi più seguiti, nonché fonte d’ispirazione, all’interno del vasto mondo metallico. Fautori assoluti di questa nuova visione delle sonorità più estreme, andati oltre anche ai primissimi, ancestrali At The Gates, erano sicuramente i Dark Tranquillity, capitanati dal buon Mikael Stanne. Ed uno dei primi capitoli bollati dalla neonata etichetta ‘melodic death metal’ era il qui presente “Skydancer”. Un gioiellino, in cui dietro al microfono vi era proprio quell’Anders Fridèn che, qualche anno più tardi, avrebbe impreziosito la crescita degli stessi In Flames. Con Stanne in versione chitarrista, accompagnato da Niklas Sundin (altro futuro veterano della band), la sezione ritmica era nelle sapienti mani di Anders Jivarp e Martin Henriksson (sì, proprio lui: chi scrive non ha ancora ‘accettato’ il suo abbandono avvenuto esattamente tre anni fa).
‘Nightfaaaaaaall”: è un grido notturno quello che dà inizio all’album, prima che una puntura melodica dalle tinte black entri con prepotenza tra le fitte ramificazioni di una foresta svedese. Lo scream di Fridèn si assesta glaciale e tempestoso all’interno delle aggrovigliate trame intarsiate dal resto della band. Un’opener che, in poco meno di cinque minuti, ci presenta un gentile assaggio di ciò che, nei dettagli, i Dark Tranquillity avrebbero sviscerato nei pezzi a venire. Perché se la rabbia strumentale ha preso il sopravvento in “Nightfall by the Shore of Time”, è nella successiva “Crimson Winds” che le vivide emozioni prendono definitivamente il largo. Una melodia tanto desolante quanto avvolgente apre quello che è il brano clou dell’intero full-length: la lenta desolazione, intrisa di collera, abbraccia alla perfezione le linee tracciate da Stanne e Sundin in un continuo alternarsi di vibrazioni sensoriali. Fremiti su cui ancora una volta la voce del futuro leader degli In Flames declara la potenza infinita dei Venti Cremisi. Il viaggio onirico trasognato dei ragazzi di Göteborg prosegue con una tappa dalle marcate tinte fiabesche, “A Bolt Of Blazing Gold”: le grida di Fridèn si mescolano alla perfezione con l’incantevole voce di Anna-Kaisa Avehall in una sorta di ‘Beauty and the Beast’ in versione metal. Un favola intensa ed emozionante che si chiude con un arpeggio acustico ancor più toccante e che troverà un sequel nella seconda parte dell’album. In “Through Ebony Archways”, infatti, anche le note del frontman svedese, aiutate dallo stesso Stanne sui toni clean, riecheggeranno in una formula più pulita, regalando atmosfere poetiche e nel contempo maggiormente seriose rispetto all’aura magica diffusa in precedenza. Due perle melodiche che accarezzano le sferzate dirette ed impetuose imperversate dalla tumultuosa “In Tears Bereaved”, in cui passaggi armoniosi cercano di arginare l’attitudine black riversata dal futuro In Flames. Pezzo intricato, come pure “My Faeryland Forgotten”, la traccia che, a conti fatti, si distacca leggermente dalla struttura portante di “Skydancer” estremizzando il tutto fino all’inverosimile. In mezzo a questo pot-pourri di emozioni, balza all’orecchio dell’ascoltatore un altro highlight di “Skydancer”, ad ulteriore testimonianza dell’importanza seminale dello stesso full-length: si tratta ovviamente di “Shadow Duet”; Fridèn, la voce della ‘shadow of beauty’, e Stanne, ‘the voice of the darkness’, giocano ad inseguirsi in un tourbillon da pelle d’oca. Uno dei brani più riusciti in assoluto realizzato dai Dark Tranquillity.
Cosa aggiungere ancora? “Skydancer” si conferma come prima pietra, più che fondamentale, per il futuro della band scandinava e, diciamolo pure, anche per altri gruppi a venire. Oggi, di quei chiarori dipinti tra le fitte foreste svedesi, abbiamo solamente dei ricordi; i Dark Tranquillity sono cambiati, così come gli In Flames non sono più (ma proprio più) quegli degli anni ’90. Ma se entrambe le band hanno raggiunto i livelli, ed il successo, che possono vantare ora, per una buona parte lo devono proprio a quest’album. Da avere assolutamente!