7.5
- Band: DARKEST HOUR
- Durata: 00:44:53
- Disponibile dal: 10/03/2017
- Etichetta:
- Southern Lord
- Distributore: Goodfellas
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Tornano sulle scene con il loro nono album in studio gli statunitensi Darkest Hour, forti una campagna di crowdfunding di grande successo, in cui i Nostri sono riusciti a raccogliere grazie al contributo dei propri fan ben più di 60.000,00 dollari. Davvero niente male per un gruppo del genere, evidentemente questo è il chiaro segnale che tanto impegno, tanta passione e lavoro sodo pagano bene, oggi come oggi pagano anche più rispetto ad avere un nome altisonante e una personalità musicale debordante. I Darkest Hour infatti hanno raggiunto il loro – meritato – successo passo dopo passo, lentamente ma in maniera costante, creandosi un’identità ben precisa, lanciandosi talvolta in qualche sperimentazione, ma fondamentalmente senza toppare mai clamorosamente. Li avevamo lasciati nel 2014 con il loro album omonimo, decisamente il capitolo più melodico e sperimentale della loro carriera, con la curiosità di sapere in che direzione sarebbe andato il songwriting del successivo full length, che oggi sappiamo chiamarsi “Godless Prophets & The Migrant Flora”. Beh per prima cosa dobbiamo rassicurare i detrattori ‘self-titled’ in quanto con questo nuovo studio album i Nostri hanno abbandonato completamente ogni tentativo di sperimentazione e si sono ributtati a capofitto in quello che hanno sempre saputo fare meglio: scrivere riff di scuola melo-death svedese. Questa volta il ‘back to the roots’ è ancor più evidente quando i Nostri rispolverano certe soluzioni che pescate dalla scena metal/punk/hardcore della metà degli anni ’90. Fattore questo che li aveva spesso fatti accomunare ad altre band melodic metalcore, nel periodo in cui il metalcore la faceva da padrone. Poi ovviamente ci sono i soliti richiami a quel thrash death alla At The Gates (era “Slaughter Of The Soul”, ovviamente), Dark Tranquillity e compagnia suonante di Gothenburg che la fanno da padrone e insomma, diciamo che tutto sembra essere tornato nella ‘comfort zone’ dei Darkest Hour. Ciò però non li ha assolutamente fatti adagiare sugli allori, anzi, si potrebbe dire che “Hodless Prophets & The Migrant Flora” sia probabilmente uno degli album più belli, freschi e ispirati da un po’ di tempo a questo a parte. Riff ficcanti, dinamici e carichi di energia esplosiva, melodia nelle giuste dosi e con un’ossatura ritmica frizzante. Brani divertenti e dal minutaggio giusto, un difetto quello di scrivere brani troppo lunghi in cui i Nostri incappavano talvolta, ma non adesso. Un suono adattissimo alla loro dimensione, ad opera di un altro guru attuale delle produzioni: Kurt Ballou (High On Fire, Nails, Black Breath…) che gli ha cucito addosso un suono pulito e tagliente, perfettamente centrato sia nei momenti più rocciosi che in quelli più puliti. Insomma pare proprio che i loro numerosi fan abbiano speso degnamente i loro soldi,finanziando un disco che, da amanti del genere e della band, vale decisamente la pena di avere.