6.5
- Band: DARKSEED
- Durata: 00:48:46
- Disponibile dal: 24/01/2005
- Etichetta:
- Massacre Records
- Distributore: Self
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Seguendo un percorso evolutivo che ricorda tantissimo quello dei connazionali Evereve, Crematory e Flowing Tears, i tedeschi Darkseed continuano con questo nuovo “Ultimate Darkness” a prendere le distanze dal classico gothic metal che nella metà degli anni Novanta li pose all’attenzione della scena metal europea. Un tempo la loro influenza primaria si chiamava Paradise Lost, oggi questi ultimi sono stati raggiunti dai Rammstein e dagli stessi ultimi Evereve. Come sul precedente “Astral Adventures” dunque abbiamo a che fare con delle chitarre che si limitano a partorire riff cupi e possenti e a fungere da supporto alle tastiere, onnipresenti e più che mai dal sapore electro, le assolute protagoniste di questo platter. La batteria non eccede in finezze e punta il più delle volte su pattern solidi e quadrati mentre il cantante si divide tra vocals pulite e altre più arrabbiate e roche, queste ultime l’unico vero punto di contatto con il passato della band. Sonorità di questo tipo non possono essere certo definite innovative né particolarmente stimolanti, però i Darkseed si confermano piuttosto preparati nel maneggiarle, riuscendo a comporre brani interessanti senza ricorrere a chissà quali trovate. Bisogna infatti ammettere che il gruppo è bravo nel sovrapporre l’arzigogolato lavoro delle tastiere alla severità delle chitarre e nello scrivere ritornelli ficcanti. Degli esempi? L’opener “Disbeliever”, “My Burden”, “The Dark One”, “Next To Nothing” e “The Fall”, tutti brani davvero convincenti e orecchiabili, che il sottoscritto già si immagina delle playlist di molti club teutonici. La canzone “The Fall” è persino stata inserita nella colonna sonora dell’omonimo videogioco della Silverstyle Entertainment, quindi pare proprio che questa sterzata stilistica stia dando grosse soddisfazioni alla band. Band che, in questa occasione, anche noi sentiamo di promuovere, anche se chi scrive continua a restare dell’idea che i primi dischi della carriera fossero più genuini.