8.0
- Band: DAWN RAY'D
- Durata: 00:42:11
- Disponibile dal: 24/03/2023
- Etichetta:
- Prosthetic Records
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Venti di guerra, ingiustizie sociali, economie al collasso, clima in corsa verso derive apocalittiche – lo stato attuale dell’Europa e del mondo vede l’umanità accartocciarsi sempre di più su quelle strutture da essa stessa costruite, e per affrontare questo inesorabile, inevitabile tracollo, passarci attraverso con la speranza di uscirne tutti interi i Dawn Ray’d, tenacemente coerenti con se stessi, adottano la soluzione più estrema e si arrabbiano, mettendo a ferro e fuoco, musicalmente, il mondo intero.
Incazzati, furiosi eppure lucidissimi, gli inglesi tornano sulle barricate con il loro terzo album, ed è, per struttura, contenuto e musica, perfetto per i tempi che corrono: “To Know The Light” è infatti una vera e propria molotov – con il black metal a fungere da combustibile e impregnare lo straccio intessuto dalle sempre più presenti venature folk e epiche (vicine a talune atmosfere tragiche e polverose di Primordial e Panopticon, per capirci) – lanciata per svegliare coscienze, scatenare rivolte e scardinare il sistema contemporaneo, contemplando la distruzione con uno sguardo fiero e malinconico, tipico della terra britannica.
In appena quaranta minuti, Simon Barr, Fabian Devlin e Matthew Broadley riescono a sintetizzare il loro percorso da “The Unlawful Assembly” ad oggi, arricchendolo sì di un’urgenza rabbiosa sempre più pressante (sguinzagliata senza limiti in episodi come l’iniziale “The Battle Of Sudden Flame” o la micidiale, devastante “Sepulchre (Don’t Vote)”), ma anche di una nuova cura nello stratificare ad essa nuovi livelli di melodie, voci, violino e tasti d’avorio; come ad esempio succede in “Inferno”, la cui apertura atmosferica guarda con nostalgia ad un paio di decenni fa, per poi deflagrare in un black metal tiratissimo e arrembante, schiantandosi nel finale tra cori epici e note acute di violino. Questa dualità di estremi viene però sintetizzata dalla band in una formula organica e coerente, capace di contenere tanto l’affilata, impellente ostinazione quanto uno spleen – ancora una volta anglosassone – riflessivo e dolceamaro, bordato di razionale nichilismo: la doppietta “Cruel Optimisms” e “In The Shadow Of The Past” è un esempio efficace del risultato in questo senso, con la prima ad abbracciare con passaggi di violino e arpeggi di chitarra una conclusione esplosiva (a livelli quasi tra grindcore e crust, per tener fede all’habitat dei centri sociali) come tritolo e la seconda ad utilizzare gli stessi elementi come picche e arieti per sfondare blocchi d’assedio e cordoni di sicurezza con una furia inarrestabile.
In questo lavoro la musica si scosta coscientemente da etichette di genere e competenza: le parti più estreme e nere risultano meno canoniche rispetto al precedente “Behold Sedition Plainsong” (dove pure si può intravedere in nuce questo cambiamento), mescolando scale ascendenti, riff drittissimi, pattern di batteria senza respiro e asperità vocali a piacimento con una squisita sensibilità per dettagli ‘altri’, che porta i Dawn Ray’d a cesellare due piccoli gioiellini come “Requital”, vero e proprio canto di protesta costruito solo su un bellissimo coro, e “Freedom In Retrograde”, in cui le armonizzazioni di voci pulite e chitarra acustica si intrecciano in momenti da pelle d’oca.
Quello che non cambia, ma anzi è il midollo osseo a tenere dritta la schiena del trio inglese, è il messaggio: sempre esplicito, imprescindibile e di una integrale coerenza, non è possibile scindere in alcun modo dalla musica le parole, gli ideali e i valori politici e morali di Simon Barr e compagni, qui trascendenti la politica interna inglese o le ‘semplici’ rivendicazioni operaie e antireligiose e arrivati a tracciare, in tutto il disco, una visione cosmica (comune ad altre formazioni, come ad esempio i Trespasser) di nichilismo, anarchia e rifiuto di qualsiasi apparato governativo esistente, diritti per chiunque e ovunque, volontà di distruggere le catene che tengono ancorate le persone ad un sistema malato e marcio, antifascismo militante. “Non c’è nulla in queste canzoni di cui vergognarsi, ogni cosa di cui cantiamo la diciamo in maniera chiara” cantano in coro sul finale della cavalcata al vetriolo “Wild Fire”, con l’inquieta soddisfazione (e una punta di orgogliosa arroganza) di chi è impegnato a decostruire il mondo per renderlo migliore senza scendere a compromessi e senza mandarle tanto a dire.
È nei momenti più bui che però anche il più piccolo lume risulta splendente e in grado di illuminare anche le profondità più nere del futuro: così “Go As Free Companion” conclude l’album perfettamente (chiudendo, con un rimando alle ultime parole di Elron alla Compagnia dell’Anello in partenza, il cerchio di citazioni tolkieniane apertosi col primo pezzo e d il cenno ad una delle battaglie più famose tra Morgoth e i Noldor), racchiudendo in sè ciascuna sfumatura dolente, nera, melodica e combattiva fin qui analizzata e rifrangendola con una forza ancora maggiore, a sferzare il caos distruttivo, in parte temuto e in parte auspicato come necessario, con un inno alla bellezza, vitale e fiera, di ciascuna giornata passata a lottare per un mondo migliore; trainata da una batteria ruspante e battagliera e sorretta da una trama d’organo evocativa, la canzone entra con prepotenza tra i pezzi migliori composti fino ad ora dalla formazione e vale, sommata al resto, la pienezza del voto che vedete in calce.
“To Know The Light” segna un punto di svolta nel percorso strettamente musicale dei Dawn Ray’d, una solida conferma della bontà della loro capacità di composizione e scrittura di pezzi freschi, originali e al tempo stesso volti verso il passato (anche nella produzione, leggermente ovattata) con naturalezza, una certezza per chi cerca alternative coerenti ai dettami (musicali e non) più classici del black metal e – per dolorosa, militante attualità – un disco perfetto per affrontare qualsiasi futuro nero.