8.0
- Band: A DAY TO REMEMBER
- Durata: 01:03:45
- Disponibile dal: 25/11/2013
- Etichetta:
- Caroline Records
- Distributore: Universal
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Let the music do the talking. Cantavano così gli Areosmith, e lo stesso concetto vale per gli A Day Remember. Dopo una controversia legale con la Victory, una serie infinita di anticipazioni e una release inizialmente solo in download digitale sul sito della band, vede finalmente la luce “Common Courtesy”, quinto album per gli alfieri del cosiddetto ‘pop-mosh’, ovvero quel genere che ritornelli pop-punk a stacchi metalcore. Chiamati ad una prova d’orgoglio dopo gli altalenanti “Homesick” e “What Separates Me From You”, i cinque ragazzotti di Ocala – coaudivati anche stavolta, sia in cabina di regia che in fase di songrwiting, dal fido Chad Gilbert dei New Found Glory – hanno risposto come si conviene in questi casi: dando alle stampe quello che, semplicemente, è il loro miglior lavoro di sempre. Merito della ritrovata libertà discografica e/o della lunga attesa forzata prima della pubblicazione? Non ci è dato saperlo, sta di fatto che, pur conservando il trademark ADTR al 100%, “Common Courtesy” doppia tranquillamente, per quantità e varietà, le uscite precedenti, come se la band avesse composto abbastanza materiale per un doppio album. Scorrendo la tracklist, troviamo dunque in ordine sparso: anthem pop-punk dai chorus super catchy (l’autobiografica opener “City Of Ocala”, il primo singolo “Right Here It Back Again”, “I Remember”, “Good Things”), frequenze alternative rock (la foofightersiana “Best Of Me”, “Life @11”), una versione riveduta e corretta dei tradizionali saliscendi pop-mosh (“Sometimes You’re the Hammer, Sometimes You’re the Nail”, “Dead & Buried”), ritmiche pestone come mai in precedenza (“Violence (Enough Is Enough)”, “Life Lessons Learned the Hard Way”), e ben quattro pezzi acustici (“I’m Already Gone”, sulla scia della vecchia “You Had Me At Hello”, ma anche “I Surrender”, “End of Me” e la nostalgica “I Remember”) . Tanta eterogeneità stilistica potrà sembrare eccessiva agli ascoltatori meno attenti; ma d’altro canto, come sanno bene i fan più affezionati, l’amalgama di generi diversi è da sempre insita nel DNA della band floridiana, assurta nel tempo a portabandiera del metalcore transgenico. In quest’occasione gli estremi del triangolo – divertimento da cazzeggio, sgomitamento da pogo e nostalgia per i tempi che furono – sono, semplicemente, spinti un po’ più in là, dando vita a quello che, nel suo genere, si può definire come un piccolo capolavoro.