8.0
- Band: DE MANNEN BROEDERS
- Durata: 00:44:00
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- Relapse Records
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Nella regione dell’underground dove il metal si trasfigura in ambient, drone e noise, quello di Colin van Eeckhout è un nome di prima importanza. Il suo lessico scuro, minimalista, contemporaneo e insieme ancestrale si esprime in una moltitudine progetti (tra i quali spiccano senz’altro i magnifici Amenra) caratterizzati, pur nella loro varietà, da una forte coerenza estetica.
Tra le tante influenze di questo riconoscibilissimo orizzonte creativo risuonano anche quelle di un certo neofolk liminale, che non avevano però mai ricoperto, finora, un ruolo da vere protagoniste. L’occasione sembra essersi finalmente presentata grazie all’incontro di Van Eeckhout con il musicista folk Tonnie ‘Broeder’ Dieleman: entrambi fiamminghi, entrambi affascinati da ritualità e simbolismi, entrambi reduci dalla perdita di un genitore, i due si sono scoperti molto più simili e molto più vicini di quanto le rispettive produzioni non facessero intendere. Pur attraverso linguaggi diversi, infatti, van Eeckhout e Dieleman sembrano indagare gli stessi anfratti della natura umana, condividendo il gusto per la sottrazione e un saldo ancoraggio al proprio retroterra personale e culturale.
Da questa risonanza reciproca sono scaturiti un progetto artistico, i De Mannen Broeders, e un album, “Sober Maal”, scritto e registrato in meno di una settimana in una chiesetta mennonita del XVIII secolo.
“Sober Maal” (‘pasto frugale’, titolo che già racchiude tutto un immaginario) è un disco che potremmo definire ‘drone folk’, in cui elementi ‘da messa’ si muovono su armonizzazioni rarefatte e dilatate, andando a comporre una sorta di liturgia per un millenarismo futuro. La stessa struttura dell’album riproduce una specie di funzione: lunghe distese d’organo e di ghironda, semplici strumenti a corda, percussioni quasi ritualistiche si alternano a parti cantate, inframmezzate da recitativi che ricalcano salmi, preghiere o letture bibliche. Alcuni brani sembrano dei veri e propri pezzi sacri, come “Onze lieve vrouwe” – siete mai stati a una messa in un giorno feriale, con cinque o sei anziane signore che cantano?
Tra un passaggio e l’altro, si sentono suole che calpestano il pavimento, fogli che frusciano, respiri, ronzii, interferenze. La naturalezza assoluta del suono è uno dei punti di forza di questo lavoro, la cui carica espressiva è enfatizzata dalla non-produzione e dagli echi che permettono quasi di visualizzare le pareti, le panche e le finestre contro le quali rimbalzano le melodie.
Molte sono le reminiscenze che aleggiano su questo lavoro, pur senza intaccarne l’originalità: nell’apertura su “Alle roem is uitgesloten”, le atmosfere ricordano vagamente quelle da culto rurale degli ultimi lavori di Kristin Hayter (sia come Reverend che come Lingua Ignota), reinterpretate attraverso la lente di Kali Malone o Anna Von Hauswolff, mentre “Verrteere heel” viaggia al confine tra il country e i Wardruna. Su “Grafschrift”, invece, sembra di intravedere l’ombra di David Michael Tibet e dei personaggi che popolano il suo immaginario.
In “Sober Maal”, dunque, si riflette la semplicità solo apparente delle creazioni dei suoi fautori. Ma soprattutto si riflette una capacità non comune di trasmettere in modo immediato un sentire complesso, in cui l’abisso della mancanza convive con la tenerezza e la delicatezza di un affetto ancora presente. Non è chiaro se i De Mannen Broeders avranno un seguito, ma dopo questo meraviglioso debutto c’è da augurarsi di sì.