8.0
- Band: DEAD CROSS
- Durata: 00:27:38
- Disponibile dal: 04/08/2017
- Etichetta:
- Ipecac Recordings
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È sicuramente paradossale apprezzare, in un progetto che vede coinvolto Mike Patton, la relativa ortodossia del risultato, ma tant’è: il punto di forza di questo omonimo esordio dei Dead Cross è, a nostro parere, proprio il fatto che per una volta il buon Mike resta nei limiti previsti dal (non) genere suonato, o quantomeno non cede mai alla pura manifestazione di potere; con il risultato di un album esaltante e che si lascia apprezzare per la sua funzionale schizofrenia. Intendiamoci: i Dead Cross si muovono in un humus che spazia dal grind al noise rock di matrice Jesus Lizard, quindi niente di facilmente etichettabile, ma si sente sicuramente come il folle vocalist californiano sia giunto a lavori in corso aggiungendo, bene, la ciliegina sulla torta. La band nasce infatti un paio di anni fa su iniziativa di Justin Pearson e Gabe Serbian dei The Locust, con l’aggiunta di Michael Crain alla chitarra – già loro sodale nei Retox e qui a dir poco mirabolante –, oltre a un certo Dave Lombardo dietro le pelli; quando Serbian decise di mollare l’esperimento, ci pare facile immaginare che proprio Lombardo abbia suggerito il suo compare di viaggio nei Fantômas quale buon sostituto. E il loro mix di sfuriate, accelerazioni e inflessioni più dark ha così preso forma compiuta. Dall’apertura affidata al singolo “Seizure And Desist” veniamo subito immersi in un delirio perfetto di grida stridenti e riff forsennati retti dalla mirabile impalcatura di un Lombardo in stato di grazia. Tra stop ‘n’go, rullate e accelerazioni, neurodeliri e una capacità di sintesi mirabile, in soli ventotto minuti i Dead Cross sorridono beffardi sulla violenza degli Slayer o la brutalità dei Napalm Death (“Idiopathic”); migliorano la lezione dei Tomahawk (“Shillelag”) e si offrono come alternativa valida ai prossimi (ahinoi) orfani dei Dillinger Escape Plan (provate “Grave Slave”), giungendo a permettersi di trasfigurare un’icona come “Bela Lugosi’s Dead” in maniera magistrale e da brividi. Resta comunque anche il giusto e meritato spazio alla sperimentazione vocale in brani come “The Future Has Been Cancelled”, con nuovamente aleggiante lo spettro della band di Puciato, o nella conclusiva “Church Of The Motherfuckers”, dove i registri si intrecciano in un ottovolante pazzesco, ma solo frutto dell’ugola; niente campionamenti, cambi di microfono, loop o altre diavolerie: pura follia, ben amministrata dal genio. Se non si tratta di un mirabile one-shot, avremo da sorridere e godere a lungo.