7.0
- Band: DEAD MAN IN RENO
- Durata: 00:43:32
- Disponibile dal: 04/09/2006
- Etichetta:
- Abstract Sounds
- Distributore: Audioglobe
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E alé! Avanti pure un altro! Dalla rigogliosa fucina di Myspace, come prevedibile soprattutto dopo aver visionato la foto dei cinque giovani yankee, ecco un’altra possibile new sensation in campo metal-core e affini: i Dead Man In Reno. From Tuscaloosa, Alabama, Justin Sansom e compagni emergono dalla rete accodandosi alla infinita pletora di band appena uscite dalla metal-nursery e già proiettate, a mo’ di bimbo prodigio, nell’Olimpo virtuale del Metallo Pesante. I Dead Man In Reno, manco ci fosse bisogno di precisarlo, si prostrano osannanti ai piedi dei vari As I Lay Dying, Unearth e Bleeding Through, cercando però, con buona determinazione, un approccio decisamente più progressivo al songwriting. La base, quindi, è sempre la stessa: sezione ritmica stoppatissima e iper-groovy, con il doppio pedale impegnato costantemente nel tupa-tupa triggerato da mosh, una chitarra ai servigi delle ritmiche di cui sopra e l’altra sei-corde devota ad armonie melodiche che più In Flames- e Iron Maiden-dipendenti non si può! La voce di Sansom è costantemente filtrata e urla o grugnisce a seconda dei bisogni, un po’ monocorde ma neanche tanto fastidiosa, supportata poi, in quattro pezzi su dieci, dagli interventi clean malinconici del batterista George Edmondson. Fin qui, il giudizio sui Dead Man In Reno sarebbe simile a quello formulato per tanti gruppi dediti al genere, ovvero: vi piace questo tipo di musica? Andate pure sul sicuro. Non vi piace? Evitate come se fosse peste! Il discorso cambia un po’ se si prendono per buoni gli ancora acerbi tentativi del gruppo di dare una spiccata impronta prog al proprio stile: innanzitutto, è particolarmente atipico ascoltare brani di metal-core lunghi anche più di otto (“Cursed”) e sei (“She’s Tugging On My Heartstrings”) minuti…e se quest’ultimo è un po’ una mattonata sui piedi, il primo spicca dalla massa grazie agli arrangiamenti riusciti, comprendenti fra l’altro anche archi e pianoforte; in questo, i DMIR si lanciano all’inseguimento dei bravissimi Becoming The Archetype, pur restando questi di un altro livello. Qualche stacco acustico e decadente di stampo emo, la strumentale “Given A Season Of Sun” e alcune sezioni vicine al math-core denotano la volontà della band di distanziarsi almeno un po’ dal trend imperante, però ci sembra ancora troppo presto per dichiararli sorpresa: l’uso ripetuto e sfiancante dei breakdown da mosh e delle accelerazioni svedesi non giova certo ai ragazzi, bravi ma da svezzare e da far maturare. Comunque sia, fra tanti cloni e brutte copie, forse i Dead Man In Reno sono quelli più credibili ed interessanti. Se non date loro una chance adesso, segnatevi almeno il nome!