6.5
- Band: DEADLOCK
- Durata: 00:46:44
- Disponibile dal: 17/11/2008
- Etichetta:
- Lifeforce Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Ahia. Deciso passo indietro, sebbene non gravissimo, per i melo-deathsters tedeschi Deadlock, finora protagonisti di una carriera in brillante crescendo e messisi in bella evidenza prima con “Earth.Revolt” e poi con il più orecchiabile e convincente “Wolves”, risalente solo ad un anno e mezzo fa. Il quarto full-length album del sestetto teutonico – da pochissimo orfano però del bassista Thomas Huschka – rappresenta per i Deadlock un disco di fondamentale importanza, possibile rampa di lancio per un felice allunaggio sul satellite dei giovani gruppi europei che contano. La decisione della band di tornare sui propri passi, quindi, almeno a livello di songwriting, lascia un po’ perplessi: i ragazzi infatti, si suppone nella persona di Sebastian Reichl, chitarrista e principale compositore del combo, hanno scelto di comporre un lavoro a metà strada tra la facile fruibilità di “Wolves” ed il death metal melodico sperimentale che rese particolare “Earth.Revolt”; facendo così, purtroppo, hanno in parte rovinato uno stile che appariva vincente e certamente hanno esagerato nella sperimentazione no limits. Passi la divertente introduzione affidata ai settanta secondi di pompatissima techno (“The Moribund Choir Vs. The Trumpets Of Armageddon”), passino gli assoli di sax e la voce pulita maschile, ma quando si giunge alla quinta traccia, “Deathrace”, e ci si accorge che gli ultimi due minuti sono di puro hip-hop, allora qualcosa inizia a stonare un po’ troppo. Aggiungeteci poi la piuttosto inutile cover di “Temple Of Love” dei Sisters Of Mercy – godibile ma inflazionata – e l’intermezzo strumentale dalle tinte gotiche della title-track e vi troverete con solo una manciata di brani discreti, fra i quali gli unici che risultano degni della tracklist di “Wolves” sono “Martyr To Science” e “Dying Breed”. Spesso la stupenda voce dell’ottima Sabine Weniger si trova a dover impostare intonazione e linee pop, com’è sua natura, mentre gli strumenti si lanciano in parti stoppatissime e iper-triggerate, cosa che genera presto una dissonanza davvero poco sopportabile, se non con l’abitudine di ascolti prolungati. “Slaughter’s Palace” e “Fire At Will” soffrono molto di questo cattivo abbinamento di soluzioni, che castra con decisione l’appeal melodico e l’irruenza di pezzi strutturalmente difficili e innovativi. Non vogliamo essere troppo drastici, però: “Manifesto” va assimilato con pazienza e caparbietà e mostra una band che probabilmente ha voluto strafare o che non aveva le idee molto chiare in fase di composizione. I fedelissimi dei Deadlock, ne siamo convinti, apprezzeranno comunque questo nuovo album, pieno di assoli spettacolari, ben prodotto, con un artwork carino, sempre vegan-oriented e tutto sommato ben più che sufficiente. Certo, il confronto con “Wolves” è perso senza speranza…