6.0
- Band: DEADLOCK
- Durata: 00:39:43
- Disponibile dal: 26/07/2013
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
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Persi in questo ultimo biennio il male vocalist e frontman Johannes Prem e il secondo chitarrista Gert Rymén, i tedeschi Deadlock si presentano di nuovo al via, in formazione ovviamente rinnovata, per il sesto full-length album intitolato “The Arsonist”. La deriva mainstream-oriented che ormai da qualche lavoro contraddistingueva l’operato del quintetto della Baviera aumenta ancora più il suo scarto nel nuovo disco, rivelando velleità commerciali che, fin dal pur ottimo “Wolves” e dall’entrata in pianta stabile in line-up della cantante Sabine Scherer, erano state piuttosto evidenti; ma sia “Manifesto” che il penultimo “Bizarro World” parevano ancora legati ad un’indecisione stilistica tale da non far raggiungere i risultati sperati alla band, sebbene essa abbia di certo aumentato la propria fanbase dai tempi degli esordi melodic death metal/metal-core. Oggi le composizioni di Sebastian Reichl e Tobias Graf, gli unici due membri fondatori rimasti dei Deadlock, sono più omogenee e chiaramente decifrabili, ovvero (quasi) tutte quante volte al rispetto della forma-canzone canonica pop-rock, ovvero strofa-bridge-ritornello e così via, dove le strofe sono affidate al growl di John Gahlert, ex-bassista ora traslato alla voce – buona la sua prestazione – e i ritornelli all’imperiosa e cristallina impostazione pop della minuscola Sabine. I singoli-con-video che i Nostri hanno fatto girare in rete (“I’m Gone”, “The Great Pretender”), la title-track, “As We Come Undone”, “Darkness Divine” e praticamente tutta la prima parte di “The Arsonist” seguono il soprascritto canovaccio, rimpolpato da una produzione iper-compressa e ultra-moderna, purtroppo che odora di plastica lontano sei miglia e che presenta al fruitore due chitarre pomposamente ‘finte’. Quindi, pollice del tutto verso per la produzione scelta a questo giro, che mette sì ben in evidenza le voci ma che dona altresì al tutto una freddezza computerizzata davvero preoccupante. Arriva del calore, infatti, solo quando, proseguendo nella tracklist, si giunge alla semi-ballad per pianoforte e voce “Hurt”, uno dei classici della discografia Deadlock, però non risollevante di molto le sorti di un platter troppo costruito per impressionare, vedasi anche la discreta cover di “Small Town Boy” dei Bronski Beat. Insomma, questo gruppo in passato è stato in grado di regalarci delle piccole perle melodiche – ricordiamo anche l’ottimo “Earth.Revolt”, oltre al capolavoro “Wolves” – ma ora dà l’impressione di essersi perso in un futile girotondo su se stesso e sulle capacità vocali, strabordanti ma forse utilizzate in modo troppo uniforme, della propria frontgirl. Il voto esatto starebbe esattamente a metà tra un 6 e un 6.5, ma la parabola qualitativa discendente dei Deadlock ci fa essere un po’ più severi del solito, facendoci assegnare una sufficienza piena e basta. Speriamo facciano meglio in futuro!