8.0
- Band: DEAFHEAVEN
- Durata: 00:59:58
- Disponibile dal: 11/06/2013
- Etichetta:
- Deathwish Inc.
- Distributore: Andromeda
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Nonostante siano trascorsi solo un paio di anni dal loro debutto, i Deafheaven possono già essere considerati come una di quelle band che hanno definitivamente portato il black metal all’attenzione di frange di pubblico più “alternative”. Vuoi per le spiccate contaminazioni con altri generi, vuoi per (almeno a detta di alcuni) l’immagine più “ripulita”, i ragazzi californiani sono riusciti ad ampliare la breccia creata da Alcest e, per certi versi, Wolves In The Throne Room, andando a ritagliarsi uno spazio sempre più importante nelle preferenze di coloro che amano le sonorità estreme ma che trovano di primaria importanza elementi come l’atmosfera e gli incroci tra stili apparentemente lontani. Avendo dimostrato con un EP ed un full-length che era possibile mescolare l’irruenza del black metal con la maestosità del post rock e la passionalità del DIY screamo di Orchid (non quelli barbuti!) e Funeral Diner, senza magari prendersi troppo sul serio (vedi gli ultimi Alcest), i Nostri col nuovo “Sunbather” cercano e trovano l’affondo, elevando all’ennesima potenza tutte le caratteristiche delle loro prime opere. Dal primo EP vengono recuperate le soluzioni acustiche e, in alcuni momenti, anche l’immediatezza delle melodie, mentre dal primo album “Roads To Judah” le tendenze simil orchestrali e il conseguente gusto per strutture complesse, qui peraltro ulteriormente elaborate. Rispetto al debut emerge infatti un approfondimento su questo tema, con cambi di tempo più frequenti e pronunciati, ripartenze maggiormente dinamiche e un bilanciamento più equo in quasi ogni traccia fra l’anima brutale e quella romantica dei Nostri. Mini suite come “Dream House”, la title track e “The Pecan Tree” si assestano su livelli altissimi di estro e coesione, entrando subito nella top 5 delle migliori composizioni dei ragazzi. Tuttavia è l’intero platter a irretire, per via di una ricchezza nel songwriting, di una naturalezza e di una capacità di risultare “sofisticato ma digeribile” che hanno pochi eguali nel panorama extreme metal odierno. L’unico elemento invece del tutto rimasto immutato rispetto al debutto è l’approccio di George Clarke al microfono, il quale aggredisce l’ascoltatore con il consueto screaming stentoreo e severissimo. Un registro che forse per alcuni potrà a tratti apparire sin troppo statico davanti a trame cangianti come queste – se non addirittura fuori luogo – ma che ormai va probabilmente considerato come uno dei trademark della formazione. Chissà, magari in futuro questo andrà a costituire un vero e proprio limite per le mire evoluzionistiche dei Nostri; in ogni caso, per ora queste urla si rivelano ancora sufficientemente personali e funzionali. Del resto, di “Sunbather” colpisce in primis proprio la personalità e il piglio autoritario con cui i Deafheaven hanno trovato una via per rivisitare il black metal. Ne avevamo già avuto un assaggio su “Roads…”, ma ora il cerchio si chiude. Il gruppo californiano è sbocciato, ha smesso i panni di promessa e si appresta ora a divenire un punto di riferimento per questo filone, essendo maturato sotto ogni punto di vista senza perdere ispirazione e spontaneità lungo il tragitto. I cosiddetti “puristi” avranno forse da ridire, ma il metal – e la musica tutta – ha da sempre bisogno di questi gruppi “di rottura” per non ristagnare e quindi morire.