6.5
- Band: DEATH ANGEL
- Durata: 00:55:14
- Disponibile dal: 26/04/2004
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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L’arte di risorgere, e l’arte di morire. I Death Angel sono tornati, sono di nuovo tra noi, dopo ben tredici anni di assenza: ed ecco che, dopo aver calcato i palchi di mezza Europa con risultati a dir poco eccelsi (non serve certo che ìl sottoscritto ricordi la favolosa prova offerta dai cinque americani d’importazione filippina al nostrano No Mercy!), eccoli di nuovo in pista, forti del loro quarto album, che si propone di continuare ciò che nel lontano 1990 aveva lasciato in sospeso l’ottimo “Act III”. “The Art Of Dying”: ecco il titolo scelto per la nuova release di una delle band tra le più acclamate, in un passato nemmeno tanto remoto, della Bay Area, e che oggi (forse anche a causa dei germi penetrati all’interno del sound della band dai mediocri progetti dei singoli membri, tra i quali ricordiamo in particolare The Organization e Swarm) sembra purtroppo aver perso l’antico lustro che permise la realizzazione di tre album di altissimo livello. La parola-chiave di questo album della reunion sembra essere infatti ‘discontinuità’: intendiamoci, quello che i tutti i thrasher del mondo potranno avere sotto le mani ufficialmente tra pochi giorni non è un brutto disco. Semplicemente, non è un disco che porta inciso a caratteri di fuoco il marchio Death Angel in tutte le sue note, come invece dovrebbe essere; e inoltre, oltre al nomenon porta nemmeno impressa la qualità che da sempre contraddistingue i (capo)lavori della band. Ma andiamo con ordine, perché le premesse per un capolavoro avrebbero potuto esserci tutte: infatti, dopo la classica intro pressoché inutile, irrinunciabile sul 95% dei dischi made in 2004, il disco decolla a livelli vertiginosi con la straordinaria “Thrown To The Wolves”, pezzo assolutamente d’impatto (basato, tra l’altro, su uno dei riff più semplici ma efficaci che mi sia mai capitato di ascoltare) che sembra direttamente tratto dall’olocausto sonoro di “The Ultra-violence” (e qui, signori e signore, siamo forse già all’apice compositivo dei ‘nuovi’ Death Angel); ma purtroppo, già dalla successiva (nonché scialba) “5 Steps Of Freedom” già si capisce che la band non ha ancora a che spartire poi così tanto con quel periodo così luminoso della propria carriera… quest’ultimo, infatti, è un pezzo di stampo moderno, con molta melodia e veramente poche idee, che altro non sembra se non un outtake dei “We’ve Come For You All”, ultimo album dei ‘colleghi’ Anthrax; e, se si va un poco meglio con la successiva “Thicker Than Blood” e si rischia di ritornare a livelli eccelsi con l’ottima “The Devil Incarnate” (pezzo molto strano, sorretto da un raffinato lavoro in sede ritmica di Rob Cavestany, molto ‘malato’ ma rilassato, all’interno del quale penetra divinamente, almeno per una volta in tutto il disco, il germe del post-grunge), le cose precipitano di nuovo con la successiva “Famine”, probabilmente il pezzo peggiore del disco, una song d’impostazione grunge (di thrash c’è solo l’intenzione!) che alterna delle strofe prive di mordente ad un chorusaddirittura irritabile e fastidioso. Si continua così, tra alti (la divina “Spirit”, memore, insieme all’opener, dei bei vecchi tempi andati, e la discreta “Prophecy”, contenente, tra l’altro, una bella scala solistica dal gusto arabeggiante) e bassi (se bisogna ascoltare una canzone come “Land Of Blood” metto nel mio stereo “Beat The Bastards” degli Exploited, ed ottengo lo stesso risultato, ma ad una qualità sicuramente superiore), fino alla conclusiva “Word To The Wise”, sorprendente ballad acustica (almeno nei primi due minuti) cantata interamente da Rob, dal gusto intimista e sorretta da una gran melodia, sicuramente uno dei pezzi migliori del disco insieme alle già nominate song memori dei primi anni della band. Ok, tiriamo le somme: lo ripeto, “The Art Of Dying” è tutt’altro che un brutto disco, anzi. Il problema è uno solo: i Death Angel hanno tentato di avventurarsi su terreni che non competono loro e, non contenti di due progetti deludenti come The Organization e Swarm, hannodeciso di riprovarci ‘parzialmente’ su questo disco, con risultati eccellenti in un solo caso (la già citata “The Devil Incarnate”), mentre per il resto, escludendo i pezzi nel classico thrash-style, sono quasi sempre da dimenticare. Ad ogni modo date loro un ascolto, perché “The Art Of Dying” è tutt’altro che un disco facile… il mio consiglio ad ogni modo rimane quello di un acquisto obbligato solo da parte degli aficionados… il sottoscritto ha fatto il suo dovere, ed ora torna a riascoltare la mitica “Kill As One”… alla prossima.