voto
9.0
9.0
- Band: DEATH
- Durata: 00:33:53
- Disponibile dal: 22/10/1991
- Etichetta:
- Relativity Records
Spotify:
Apple Music:
Dopo un lavoro a tratti abbastanza "facile" come "Spiritual Healing", i Death con "Human" decidono nuovamente di compiere un grosso passo evolutivo. Si tratta del quarto album, cosa che per molte band rappresenta l’inizio del declino o persino un miraggio, quindi è d’obbligo tornare sul mercato con un’opera altamente competitiva, soprattutto in questo 1991, un anno a dir poco fondamentale per il death metal, considerata la mole di capolavori data alle stampe in questi dodici mesi sia negli USA che oltreoceano. Per l’occasione, Chuck Schuldiner mette insieme una lineup tecnicamente preparatissima, la quale comprende il bassista dei Sadus Steve DiGiorgio, il batterista Sean Reinert e il chitarrista Paul Masvidal, questi ultimi due già menti dietro il progetto progressive/death metal Cynic, che all’epoca è ancora una reltà strettamente underground. L’obiettivo appare chiaro: prendere il vecchio sound dei Death e portarlo su un livello più tecnico e fresco (anche in sede lirica), senza però perdere di vista la solita base (death) metal con la quale il gruppo si è fatto conoscere sin qui. Nonostante la presenza in formazione di tre veri e propri talenti, è ovviamente Schuldiner a reggere il comando e non è quindi un caso che il songwriting del disco risulti da un lato stra-compatto e coerente e dall’altro costantemente al servizio della sua crescente duttilità di guitar-player, che ora lo mette nelle condizioni di sfoderare riff velenosi così come assoli di raro ingegno e bellezza, i quali finiscono sempre per aggiungere qualcosa di significativo al pezzo, non perdendosi mai in noiosi sfoggi di pura e semplice tecnica. Rispetto a "Spiritual Healing" e al resto degli album precedenti, si nota come il riffing di Schuldiner sia maturato sia in termini di originalità che di presa: ora è infatti difficile distinguere le influenze del Nostro… grazie a questi continui riff "a uncino", a queste penetranti fughe di doppia cassa e agli efficacissimi stop’n’go in cui chitarre e sezione ritmica si muovono all’unisono, viene spontaneo parlare di "stile Death", così come non risulta problematico distinguere i brani dopo pochi ascolti. Se infatti l’aumento dei cambi di tempo e delle finezze chitarristiche per traccia non stupisce – logica conseguenza della maturazione di Schuldiner e dell’elevatissima preparazione tecnica dei suoi compagni – lo stesso non si può dire dell’orecchiabilità che ognuna di queste ultime può vantare. Le canzoni, infatti, pur essendo giocate su un continuo susseguirsi di riff e una altrettanto costante spinta aggressiva (che spesso e volentieri esalta lo screaming di Schuldiner), presentano anche una lunga serie di passaggi strumentali catchy e facilmente memorizzabili, assieme a dei chorus semplici e d’impatto, che, nelle varie "Suicide Machine", "Together As One" o "Lack Of Comprehension" sembrano sempre arrivare al momento giusto. Non è quindi un caso che oggi tutte queste composizioni vengano considerate delle vere "hit", e non solo nel repertorio del gruppo. In sintesi, con "Human" i Death confezionano il disco della cosiddetta svolta verso lidi propriamente techno-death, riuscendo però nell’ardua impresa di non perdere nulla in cattiveria, lasciando ben in evidenza il loro retaggio old school che si concretizza attraverso uno sviluppo dei brani sempre piuttosto fluido e una veemenza onnipresente. Unico neo di un album personalissimo e sostanzialmente grandioso, un mixaggio che soffoca un po’ troppo la fantasia di DiGiorgio… ma per questo aspetto i nostri avranno tempo e modo di rimediare di lì a poco, ovvero quando inizieranno i lavori sull’altrettanto seminale "Individual Thought Patterns", loro quinta fatica in studio.