DEATH KARMA – The History Of Death & Burial Rituals Part I

Pubblicato il 17/02/2015 da
voto
8.0
  • Band: DEATH KARMA
  • Durata: 00:42:42
  • Disponibile dal: 13/02/2015
  • Etichetta:
  • Iron Bonehead Prod.

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Può essere il black metal coloratissimo, un arcobaleno di tinteggiature bastarde e sgargianti, una tempesta di bellezza e atrocità avviluppate in una sordida fiumana di carezze uncinate e flagellazioni deliranti? La risposta, affermativa, sta in “The History Of Death & Burial Rituals Part I”, primo full-length del terribile duo a nome Death Karma. Una coppia d’assi, quella formata dal batterista Tom Coroner e dal cantante/polistrumentista Infernal Vlad, fattasi notare nel 2013 con l’ep “A Life Not Worth Living”, un valido concentrato di death/black bestiale e sregolato, dove si andava a rielaborare con perizia la frangia oltranzista del black metal svedese e norvegese, aggiungendovi interessanti ricami armonici di sottofondo. Qualcosa di molto distante da quanto ci troviamo ora ad ascoltare. Chi pensava infatti che i Death Karma potessero restare uno sfogo più irrazionale e carnale delle menti dietro l’eccentrica creatura a nome Cult Of Fire è stato sonoramente smentito, perché l’unico termine di paragone possibile per questo disco è proprio “मृत्यु का तापसी अनुध्यान”. L’esuberanza ubriacante di quel platter ha contagiato irrimediabilmente tutto il sentire musicale degli artisti qui chiamati in causa, portandoli a delineare un’altra opera inarrestabile, debordante un quantitativo di idee lontanissime tra di loro per origine, cultura di appartenenza, senso primigenio della loro creazione. Come già i Cult Of Fire stessi hanno doviziosamente dimostrato, tradizione e visionarietà sono una dicotomia solo teorica, perché nella pratica la genialità dei suoi autori sa appianare i contrasti più vistosi insiti nella musica. Le sei composizioni di “The History…”, tutte piuttosto lunghe ed articolate, sfruttano la connaturata elasticità del black metal, l’essere materia modificabile in infiniti modi, deformabile senza perderne l’essenza. Estratti di incensi di diversa composizione inondano un chitarrismo compulsivo, figlio degli Anni ’90 più cupi e misantropi. La luce dell’Aldilà attanaglia, stringe d’assedio il maligno, lo induce a cedere almeno in parte alle seduzioni della contemplazione e dell’ascesi. Arie conturbanti, invitanti alla meditazione, scrutano nella nostra anima, nelle sacrali progressioni come negli ariosi rallentamenti. E ancora avvolgono, solleticano, blandiscono. Di fronte a tali onnipotenti convulsioni bisognerebbe semplicemente fermarsi: inspirare ed espirare, catturare l’attimo e mettersi al centro del mondo per osservarlo, mentre si celebra l’ultimo saluto ai defunti. Il tema portante, declinato con trasporto e approccio analitico nel corso della tracklist, è proprio quello della celebrazione della morte, un excursus su come essa fosse, e sia tutt’ora, celebrata presso alcuni popoli. Un argomento affrontato facendo leva su un riffing black/thrash bastardissimo, slayeriano e celticfrostiano, affilato come una ghigliottina, condotto su velocità altissime dal drumming forsennato di Tom Coroner e attraversato da inquietudini, turbolenze, tastiere cosmiche, note di sitar cristalline incastonate in partiture tanto indemoniate quanto camaleontiche. Percepiamo echi dei Satyricon durante l’era di “The Shadowthrone” e “Nemesis Divina”, dei Darkthrone di “A Blaze In The Northern Sky”, dei Marduk più psicotici, oppure ravvisiamo una somiglianza con la grandeur degli Emperor, se costoro si fossero trovati a comporre in un tempio indiano, con bramini tutto attorno che invocano Dei vergognosi e vietati dalla morale. Ovviamente le analogie con l’ultimo full-length dei Cult Of Fire si sprecano, anche se in questo caso viene attenuato lo spirito progressivo e si affondano gli artigli con maggiore crudeltà. In questo irrefrenabile omaggio alla cessazione dell’esistenza cori ecclesiastici dialogano con uno screaming teatrale e insubordinato, poliedrico come la bieca follia che guida l’intero lavoro. “The History Of Death And Burial Rituals Part I” è un lavoro ultraterreno, manifestazione altissima di un ideale di metal che non tradisce le sue origini e sa contaminarsi, trovare nuove modalità espressive, inglobare armonie malsane in arrivo da culture lontanissime. L’oriente nella sua accezione magica, sacrale, si staglia con distorta magnificenza, contribuendo a creare un tripudio di violenza incompromissoria e allo stesso tempo di finissima costruzione intellettuale. Paradossale che una musica in teoria tanto “nera” diventi veicolo di creazioni della mente così pittoresche, un’iridescenza vorticosa che sconquassa le nostre attese e ci lascia allibiti: eppure i Death Karma hanno compiuto il miracolo, concependo un album che sfugge alla comprensione, s’arrampica dove in pochi hanno osato arrivare e potrà mettere d’accordo sia i blackster più conservatori che i fautori della sperimentazione continua.

TRACKLIST

  1. Slovakia - Journey Of The Soul
  2. Madagascar - Famadihana
  3. Mexico - Chichén Itzá
  4. Czech Republic - Úmrlcí Prkna
  5. India - Towers Of Silence
  6. China - Hanging Coffins
1 commento
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