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- Band: DEATH SS
- Durata:
- Disponibile dal: //2002
- Distributore: Self
Benvenuti nel mio Incubo… No, non è un errore: questa che state per leggere non è una recensione del celeberrimo disco di Alice Cooper, ed il volto raffigurato all’interno del cerchio non ritrae la reincarnazione della strega più famosa del rock n’roll circus, bensì una vera e propria leggenda dell’underground italiano ed indiscusso culto della generazione del satanik evil metal negli anni ottanta: Steve Sylvester. Inutile davvero parlarvi dell’importanza che ha avuto quest’uomo ed il nome della sua band nelle tante incarnazioni tra il 1977 ad oggi; penso che tutti i più attenti saranno al corrente della capacità del nostro di anticipare i trend musicali/visivi e di comporre musica d’avanguardia senza mai scadere nella mera contemplazione di quel mito legato ai primi anni ‘maledetti’, che tutt’ora permane vivissimo nei quattro angoli del pianeta. Un esempio? I Death SS esistevano già, ed avevano scritto alcuni dei brani più malati della storia del metal, quando neanche gli Slayer erano ancora stati creati, ed una band come gli Iron Maiden era ancora chiusa negli scantinati londinesi ad incidere registrazioni amatoriali, per non parlare di quei Bathory o MayheM che solo quando il primo ciclo della storia Death SS stava per esaurirsi iniziarono a muovere i primi passi. Inutile davvero rievocare dei fasti che ormai servono soltanto ai nostalgici come il sottoscritto e tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il ‘culto’ dei tempi che furono; i Death SS ormai sono un’entità distante anni luce da quello che furono anche solo dieci anni fa, quando calcavano i palchi con il leggendario e heavy/thrash metal-oriented “Heavy Demons” e, come del resto lo stesso Sylvester ci aveva sempre assicurato anche in tempi non sospetti, la band non ha ancora smesso di nutrirsi di nuova linfa, nuovi input, nuova volontà per rimescolare, ricreare, rinascere ogni volta dalle proprie ceneri o, se preferite, semplicemente continuare quel discorso artistico che mai come ora, con il nuovo “Humanomalies”, appare assolutamente circolare ed incredibilmente ‘coerente’ nella sua pur evidente unicità e ‘anomalia’. Ed è dal come-back del 1997, con quella pietra miliare, e condivisibile spartiacque nella loro storia e discografia, che risponde al nome di “Do What Thou Wilt”, che Mr. Sylvester ed i suoi ci regalano dei lavori di assoluta avanguardia riuscendo a tingere ogni volta di un tocco inedito ed innovativo quelle caratteristiche e stereotipi indelebili dal proprio dna, riscoprendo così il ben noto amore per la musica industriale prima (già palesato anni prima nell’EP “Broken Soul” del Sylvester solista), per il glam/anthem rock poi, ed infine per un raffinatissimo gusto ‘pop’ adulto ed assolutamente lontano dalle logiche del music biz; se avete in mente cosa Steve Sylvester, affiancato dal talentuosissimo tastierista Oleg Smirnoff e dal chitarrista Emil Bandera (in assoluto il musicista più longevo della storia della band), sia riuscito a comporre nel penultimo e superbo “Panic”, probabilmente capirete a costa sto facendo riferimento. “Humanomalies”, terzo capitolo della nuova era dei Death SS, continua sulle coordinate tracciate recentemente, ma ancora una volta rivoluzionate e plasmate da capo, come se la band avesse indossato l’ennesima nuova maschera per il suo celebre carnevale di orrori, che stavolta diventa orrendo teatro delle ‘anomalie umane’, ‘circo’ ed arena dei diversi. Ci troviamo di fronte ad un album difficile, difficilissimo, che farà discutere a non finire e che sicuramente spaccherà in due pubblico e critica, almeno sulle prime battute ma che invece, sulla lunga distanza, sarà capace di insinuarsi anche tra un pubblico storicamente meno avvezzo alla proposta dei nostri. “Humanomalies”, nelle tematiche trattate e nella sua ricerca musicale, è un disco assolutamente ‘diverso’ e fuori dalla norma, che non conosce termini di paragone in giro per il mondo (potremmo forse rievocare alcuni ‘frammenti’ ed ‘immagini’ dei White Zombie di “Astro Creep” – ricordate il video di “More Human Than Human” o “Electric Head”? – o dell’Alice Cooper grandguignolesco degli anni settanta), e che si nutre di influenze disparate, ma che soprattutto metabolizza e rimescola venticinque anni di esperienza e saggezza: l’avvenenza e l’irrequietezza della dark-industrial wave che Steve Sylvester ha sempre seguito con interesse, l’energia del sanguigno rock n’roll che tinge di spontaneità e freschezza il nuovo corso della band, fino ad arrivare all’incontrovertibile ricerca artistica e desiderio avanguardistico che trasforma brani come ‘Abnormal’, ‘Circus Of Death’, ‘Sinful Dove’, ‘American Psycho’, ‘Hell On Earth’, in piccoli, grandi, classici in cui ogni nota è un’idea, ogni suono è un’intuizione, ogni passaggio è uno studio e volontà di avanguardia. Se proprio vogliamo ritrovare dei paragoni a grosse linee, possiamo affermare che siano stati insigni nomi come Trent Reznor, Rob Zombie e Danzig ad influenzare i nostri, sebbene ogni forma di emulazione sia davvero fuori discussione, in quanto i Death SS del 2002 riescono ad essere ancora una volta una band unica al mondo e con personalità e talento da vendere. Un disco perfetto che, nonostante l’ingombrante fardello di dover ripetere e sorpassare due capolavori come “Do What Thou Wilt” e “Panic”, riesce a portare i Death SS verso una nuova ed ultima scommessa con se stessi, senza assolutamente perdere in dignità e profondità artistica. Uno degli highlight assoluti di questo 2002.